"I 10 anni che sconvolsero la Germania". Questo il
claim col quale "La banda Baader-Meinhof" viene presentato in Italia (prima al Festival di Roma, poi in sala) dopo aver generato in patria polemiche, critiche ma anche notevoli incassi. Forte di uno
script basato sull'omonimo libro di Stefan Aust, il film prodotto da Berndt Eichinger, vale a dire mister "
Le vite degli altri" (altra pellicola che scavava a fondo sul passato doloroso e dissepolto della Germania attuale) va quindi a ripercorrere gli anni che portarono alla formazione della Raf, ossia il gruppo terroristico di estrema sinistra che nel decennio 67-77 seminò il panico in tutta la nazione tramite bombe, rapine, sequestri, passando poi per veri e propri attentati
ad personam, e che rischiò seriamente di minare le basi politiche e sociali della Repubblica Federale, fino poi all'arresto dei suoi componenti e al drammatico epilogo che ne conseguì.
Ora, i parallelismi inevitabili con l'ambito italiano sono di due tipi: da una parte, quello storico, porta senza ombra di dubbio al caso delle Brigate Rosse, che tra l'altro ebbero proprio contatti con la Raf (gli anni erano quelli), e che presenta difatti più di una somiglianza con il movimento marxista-leninista tedesco (si veda il caso Moro confrontato con quello del politico Schleyer). Dall'altra parte, però, considerando l'operazione cinematografica in senso lato, i confronti sono da fare non tanto, appunto, con gli svariati film che della questione Br hanno parlato e riparlato in tutte le salse (anche immaginandosi un finale diverso, come Bellocchio), quanto piuttosto con film come "
Romanzo Criminale" o "
La meglio gioventù": vale a dire, film che hanno messo a monte della ricostruzione storica un imponente processo produttivo che fosse in grado, come prima cosa, di "romanzare la Storia stessa", inserendola quindi in una cornice più consona e appetibile per il grande pubblico.
Così, se dal primo esempio viene preso purtroppo tutto il peggio (pretestuosità di fondo, confezione formale un po' patinata, scontri e attentati resi come un film d'azione), dal secondo deriva invece la "chiamata alle armi" di tutti i migliori attori tedeschi a disposizione: da Moritz Bleibtreu (praticamente quello che era da noi Accorsi fino a qualche anno fa e che adesso può essere invece Favino: si vede dappertutto), a Martina Gedeck (qui abbruttita e meno affascinante rispetto a "Le vite degli altri"), a Johanna Wokalek (la migliore, per bellezza ed espressività), passando per Bruno Ganz (una garanzia) fino a Hannah Herzsprung, rivelazione nel miglior film tedesco della scorsa stagione ("Quattro minuti"), qua in una breve ma intensa parte finale.
Insomma, la volontà era quella prima di tutto di rendere il film se non un "caso cinematografico" di sicuro "la pellicola tedesca dell'anno": operazione per certi versi fallimentare, vediamo dove. A partire dal tentativo un po' goffo (comune anche a "Romanzo Criminale") di riassumere alla meglio dieci anni di cronaca, nera e non, compresi movimenti sociali, politici, rivolte culturali di portata mondiale (tutte le proteste del '68), per passare poi agli "anni di piombo" della Raf, tutto sembra scorrere in modo quasi superficiale, nonostante le due ore e mezza.
Il punto di vista forzatamente imparziale scelto poi alla fine non si mantiene (com'era logico aspettarsi) tale: così, se per tre quarti del film tendiamo a simpatizzare per la Banda e i suoi capi (l'anarchia ribelle e quasi scanzonata di Baader si contrappone alla figura impalpabile, saccente, un po' antipatica dell'ispettore), nel finale si passa dalla parte opposta e si sorvola sbrigativamente sulla questione dei "finti suicidi" dei detenuti. Meglio allora la rigorosa documentazione processuale di "Stemmheim", Orso d'Oro nel 1986, o la partigiana e appassionata presa di posizione degli autori di "Germania in Autunno", del 78, film che trattavano entrambi il medesimo argomento.
La regia di Uli Edel (di cui si ricorda a conti fatti solo "I ragazzi dello zoo di Berlino", e ci sarà un motivo), appare poi a tratti scolastica, scontata, nonché incline a certi vizi di
cliché (siamo per un attimo a Roma, ed ecco nello scorcio cittadino comparire irrimediabilmente una Vespa e una 500).
Ad ogni modo, il film si salva per la recitazione degli attori, bravi
in toto, e per la capacità comunque meritevole di sapere tenere una certa tensione drammatica fino alla fine, dovuta forse e soprattutto al fatto che si tratta, e lo sappiamo, di avvenimenti realmente accaduti, e che purtroppo non terminano con la visione del film (il brusco finale ci ricorda infatti che violenza chiama sempre altra violenza).
Ultima considerazione, torniamo ai confronti: "La banda Baader-Meinhof" è certamente superiore al nostro "Romanzo Criminale" (e non ci voleva molto), tuttavia se si pensa che è anche il film candidato per la Germania ai prossimi Oscar, l'altro parallelo che ci viene in mente, immediato, è quello col nostro "
Gomorra" (paragonabile comunque per la forte denuncia sociale). E qui, veramente, non c'è Storia.