Nel corso di un intervista apparsa all'interno di una nota pubblicazione a lui dedicata(1) Michael Mann chiamato a spiegare il suo rapporto con il sistema hollywoodiano risponde in una maniera che indirettamente ci offre una chiave di lettura che si attaglia all'analisi di un film come "Sleepless - Il giustiziere" diretto dal regista svizzero Baran bo Odar. Mann nel corso dell'intervista afferma di guardare ai suoi lungometraggi come al frutto di un punto di vista personale sulle cose e sugli uomini e che la commerciabilità di alcuni dei suoi titoli è sempre stata una conseguenza e non il fine del suo lavoro. Ad autorizzare l'accostamento tra i due autori è il fatto che nella sua forma di action thriller a tinte fosche "Sleepless" si colloca all'interno di un genere di cui Mann è stato eminente regista e anche produttore. Oltre a questo ad avvalorare il paragone tra i registi è la presenza nel film di Odar di alcuni dei topos più utilizzati dal cineasta americano che coincidono con la scelta di ambientare la vicenda nell'arco notturno (come accadeva in "Collateral") e ancora nelle peculiarità delle scene d'azione (pensiamo alla sparatoria metropolitana con cui si apre il film) realizzate con metodologia che per potenza di fuoco e ingaggio del nemico appaiono più simili a uno scontro militare ("Heat - La Sfida") che a un duello tra bande rivali. E qui entrano in gioco le parole di Mann, in quanto nel confronto tra i due stili di regia quello di "Sleepless" risulta esattamente l'opposto di ciò che intendeva l'autore di "Black Hat" in ragione della neutralità con la quale Odar si approccia alla materia del suo film.
In questo senso "Sleepless - Il giustiziere" non appare difforme dai tanti cop movie giunti dal mercato statunitense. Di certo nel caso specifico la diversità non bisognava cercarla nelle caratteristiche della trama che tanto nella costruzione dell'intreccio quanto nella definizione d'ambiente e personaggi utilizza contesti e stilemi propri del genere. Paradigmatica in tale direzione è la posizione di Vincent Downs il poliziotto di Las Vegas protagonista della storia, immerso nella bigger than life manifestatasi con necessità di restituire la droga sottratta al boss locale che nel frattempo gli ha rapito il figlio e minaccia di ucciderlo se non otterrà al più presto la refurtiva. La tendenza è confermata anche se dall'analisi della struttura narrativa si passa a quella delle tipologie umane con la variabile rappresentata dalla corruttibilità di Downs utilizzata per aprire squarci di disagio esistenziale che nell'iconografia poliziesca è da sempre la conseguenza di un mestiere borderline; e di nuovo, con la proposta di un parco di "arcidiavoli" capitanati dal cattivissimo Rob Novak a cui Scoot McNair presta il volto rilanciandone a ogni scena la patologica spietatezza.
In un quadro di conclamata riconoscibilità, peraltro perfettamente in linea con la regole del genere, a creare le condizioni per fare di "Sleepless" un film con una propria identità dovevano essere per esempio la capacità della sceneggiatura di rompere la prevedibilità narrativa dotandola di quei chiaroscuri che di solito aiutano la storie criminali a scavare nelle psicologie dei personaggi. E qui risiede la debolezza di "Sleepless", il quale nel mettere in scena il processo catartico che dovrebbe portare alla redenzione del poliziotto ne invalida gli effetti drammaturgici con una scena rivelatrice - inserita senza nessun costrutto nei primi minuti di proiezione - che di fatto non consente al racconto di avvalersi dell'ambiguità morale del protagonista. Così facendo, la figura di Kevin svuotata di ogni profondità diventa un meccanismo da consegnare alla storia come tassello di un ingranaggio che funziona nella maniera in cui il protagonista, con la sua insonne frenesia, è capace di tenere alto il ritmo dei frame. Una predisposizione al movimento, quello del dispositivo allestito dal regista, favorita dalla particolarità della scenografia che essendo la risultante dei diversi settori dell'albergo casinò dentro cui la vicenda si svolge enfatizza l'idea di una continua progressione narrativa che però si disinteressa di dare spessore ai personaggi. E quindi a quello di Jennifer Bryant (Michelle Monaghan) agente degli affari interni in cerca di riscatto e coinvolta suo malgrado nel giro di vite innescato dalla condotta di Kevin e, a seguire, allo Stanley Rubino del redivivo Dermot Mulroney, gestore del casinò colluso con la malavita locale, per non parlare dello stesso protagonista, messo all'angolo da una sceneggiatura che da potenziale giustiziere finisce per fare la figura del "povero cristo". Remake del francese "Nuit Blanche", diretto nel 2011 da Frederic Jardin "Sleepless - Il giustiziere" per qualità e respiro potrebbe essere equiparato a un prodotto televisivo; e non dei migliori, purtroppo.
04/02/2017