Sono passati più di quarant'anni dal primo lungometraggio, "Chi sta bussando alla mia porta?", e Martin Scorsese si sta concedendo una vacanza, sebbene essa si stia protraendo sempre più a lungo. Dopo "The Aviator" e "The Departed", "Shutter Island" è tutto sommato un altro lavoro che sembra esulare dalle sue opere più monumentali o personali.
Basato sul romanzo di Dennis Lehane, autore non nuovo alle trasposizioni (suo anche il romanzo da cui Clint Eastwood trasse lo splendido "Mystic River"), "Shutter Island" è un thriller rompicapo che dipana il proprio plot nei corridoi della paura di un'isola-carcere, che (ci) difende dalla mente umana, il luogo più spaventoso del mondol.
Gli agenti federali Teddy Daniels e Chuck Aule vengono inviati all'Ashecliff Hospital, su Shutter Island, dove sono detenuti numerosi criminali psicopatici, per catturare una madre-omicida fuggita misteriosamente dalla sua cella. Durante le indagini, Daniels svela al suo partner che ha voluto farsi affidare il caso perché, da alcune sue ricerche, teme che sull'isola il dottor Cawley possa aver sviluppato un progetto di esperimenti sul controllo della psiche. L'isola, a causa di un uragano, diviene una prigione anche per l'esperto agente federale, che si accorge presto di essere come un topo in un labirinto.
Martin Scorsese, non nuovo a certe operazioni, sa dove può infilare la propria zampata: tenta di portare il film dentro atmosfere da cinema anni 50, dentro quei noir fumosi dai risvolti insani; lo fa disseminando la narrazione di indizi subliminali che condurranno al grande colpo di scena finale. "Shutter Island" si rivela un grande gioco che Scorsese ha costruito con abilità, facendoci credere di volta in volta ciò che desiderava, anche se stridono alcuni passaggi poco convincenti, come la spiegazione messa sgradevolmente in scena nel finale (troppo didascalica e persino ridondante).
Stilisticamente è un lavoro all'insegna dell'omaggio per molto cinema amato dall'autore, che con la perizia del sarto esperto ritaglia dalla stoffa dell'espressionismo tedesco e cuce insieme riferimenti a "Il gabinetto del dottor Caligari" di Robert Wiene e al noir americano, specialmente quello realizzato o influenzato da Fritz Lang. "L'isola della paura" (questo il titolo italiano del romanzo di Lehane) è anche e soprattutto luogo di inquietudini, ossessioni e deliri, elementi palpabili come in diverse pellicole di un altro grande regista, quel Polanski (fantasma a Berlino, dove ha presentato "The Ghost Writer"), maestro di atmosfere allucinate e morbose (ricordiamoci di "Repulsion" o de "Le Locataire").
Il percorso paranoico di Teddy Daniels che va procrastinando la propria agnizione è accompagnato dalla fotografia dell'ottimo Robert Richardson, che varia la palette cromatica incupendo e sporcando progressivamente i colori, fino a rendere l'atmosfera nebulosa e orrorifica.
Cast lussuoso, che oltre al sorprendente duo DiCaprio-Ruffalo, può vantare un mefistofelico Ben Kingsley e un ambiguo Max von Sydow, mentre non convince affatto la prova di Michelle Williams - Patricia Clarkson, che compare in un'unica importante scena, è già su un altro pianeta.
Il montaggio è come sempre affidato a Thelma Schoonmaker, ma stavolta il risultato non è dei migliori: troppi stacchi repentini e raccordi sbagliati non possono essere tutti voluti (nella scena della presentazione del dottor Neahring/von Sydow, la sua poltrona sembra cambiare angolazione a ogni inquadratura).
Elemento sempre interessante nel cinema di Scorsese è la musica: in questo caso la selezione della colonna sonora è particolarmente inusuale (niente Rolling Stones, a questo giro), e mescola John Cage, György Ligeti, Gustav Mahler, Krzysztof Penderecki e Brian Eno, e regala nei titoli di coda la trascinante "This Bitter Earth/On The Nature Of Daylight" di Dinah Washington e Max Richter.
Il regista italo-americano poteva sicuramente osare di più, perché a voler scavare nella sceneggiatura i temi scorsesiani emergono: il senso di colpa, la labile scissione tra sanità e follia, il mostro e l'uomo che lottano dentro ciascuno di noi, ma sono tematiche tenute troppo in sottotraccia, che assumono vero senso solo alla fine, dopo l'ultima significativa battuta di Teddy/DiCaprio.
Stavolta è probabile che a Scorsese interessasse maggiormente il gioco con lo spettatore, introdotto sin all'inizio con la citazione di "Shining", con quel dolly che scendendo vertiginosamente sulla vettura diretta al complesso ospedaliero ci dà il benvenuto a Shutter Island.
E il suo è anche un rinnovato invito all'overlook, a ri-guardare e al guardare (da) sopra: l'isola non è solo il luogo fisico dove si svolge l'azione ma anche il tortuoso spazio mentale, pieno di cunicoli e gallerie nascoste, che cela terribili rimossi.
cast:
Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Emily Mortimer, Max von Sydow, Patricia Clarkson
regia:
Martin Scorsese
distribuzione:
Medusa
durata:
138'
sceneggiatura:
Laeta Kalogridis
fotografia:
Robert Richardson
scenografie:
Dante Ferretti
montaggio:
Thelma Schoonmaker
costumi:
Sandy Powell
musiche:
Robbie Robertson; Jennifer L. Dunnington