"La scuola più pazza del mondo", film d'animazione in motion capture firmato da Hitoshi Takekiyo, è la perfetta rappresentazione filmica della sterminata ed inorganica fantasia infantile: silloge di immagini sconnesse, eterogenee e prive di una logica continuità, il pastiche del regista giapponese non può che risultare affascinante, anche per un pubblico adulto.
Il cartone, tratto da un precedente cortometraggio del medesimo autore, unisce l'estetica digitale da videogame o da Anime giapponese, ormai familiari alle nuove generazioni, all'utilizzo di convenzioni narrative e registiche tipiche della cultura occidentale, senza prescindere ovviamente dal trend stilistico lanciato dalle produzioni Pixar per ragazzi.
La vicenda, una sorta di trip onirico declinato in ironico racconto del terrore, ha come protagoniste tre bambine, ciascuna rappresentazione emblematica di un tipo sociale proiettato in un universo prescolare: Maiko è la bimba ipercinetica e giocosa, Miko la viziata e vanitosa, mentre Matsuco ripropone il prototipo della dark intellettualoide. Senza dubbio nella tipizzazione del mondo infantile influisce "
La fabbrica di cioccolato" di Tim Burton, tratto dal classico della letteratura per bambini di Roald Dahl. Burtoniana è anche l'ambientazione latamente gotica, riletta in chiave parodica e in qualche modo depurata da ogni elemento realmente disturbante, resa quindi adatta per l'audience di giovanissimi.
La storia ha inizio nella scuola elementare St. Claire, presentata come un castello infestato, in cui per caso le tre protagoniste si imbattono, nella fatiscente aula di scienze che sarà demolita il giorno successivo, in uno scheletro baffuto (simile a quelli di Burton di "Nightmare Before Christmas" e di "
La sposa cadavere") ed in un modello anatomico animato, il Signor Kun, che, per punirle della loro irriverenza nei suoi confronti, le attira la notte successiva nell'edificio deserto. A questo punto la vendetta si tramuta in missione di salvataggio: le pestifere eroine vengono assoldate dal Signor Kun con l'inganno per riunire tre medaglie d'oro, necessarie per scampare all'imminente distruzione, poiché danno a chi le possiede la facoltà di esprimere qualsiasi desiderio. Per raggiungere il traguardo, la conquista dell'oggetto magico, le bambine dovranno allora affrontare tre prove, come prevede la tradizione favolistica: lo scontro a nuoto col mostro della piscina, la sfida d'intelligenza con una coppia di proiezioni olografiche nell'aula di informatica ed una tenzone musicale con Bach, Beethoven e Mozart, presentati come poster posseduti dagli spiriti dei tre musicisti.
Benché opera destinata ad un pubblico infantile, la caratterizzazione dei personaggi e delle immagini è tuttavia lontana da quella più elementare tipica della produzione filmica affine. Al contrario l'autore riutilizza con estrema ironia ed intelligenza le icone simbolo del genere horror in un diverso ambito: dalla creatura aquatica, simile ad un tritone, all'intelligenza artificiale ostile della sala computer, al grande salone fané della casa spiritata, sono passati in rassegna innumerevoli elementi chiave della storia del cinema del terrore. L'arguzia citazionistica di Takekiyo non si limita inoltre solo a questo: sono riprese diverse tecniche proprie della tradizione filmica, come il campo contro campo per conferire senso di angoscia, il rallenti alla "Matrix " per le scene d'azione, o la panoramica dal basso alla Wells per presentare la sinistra magione.
L'interessante opera sperimentale risulterebbe allora decisamente più apprezzabile anche da un pubblico adulto, se solo il suo creatore avesse sviluppato maggiormente la ripresa parodica delle convenzioni diegetiche e rappresentative. Tuttavia, data la destinazione ad un pubblico infantile, l'aspetto bambinesco e le incongruenze narrative pesano irrevocabilmente sul prodotto finale, conferendogli un carattere ambiguo: intriso di citazioni illeggibili per un bambino, il film risulta però troppo puerile per uno spettatore che sia uscito dalla scuola media.
02/03/2014