Apprezzato al festival di Toronto e alla IX edizione del festival del cinema di Roma, "Lo sciacallo - Nightcrawler" è il sorprendente esordio alla regia dello sceneggiatore Dan Gilroy ("
The Bourne Legacy"), che segue le orme del fratello Tony Gilroy (pure lui anzitutto sceneggiatore, quindi dietro la macchina da presa dai tempi di "
Michael Clayton"). "Lo sciacallo" stupisce perché esente dai principali limiti delle pellicole dirette da autori che nascono come sceneggiatori. Di solito in esse alla cura del
plot e dei dialoghi non corrisponde eguale brillantezza nella messa in scena. "Lo sciacallo" si distingue invece per il vivido impianto scenico, in cui una fotografia dai colori saturi accompagna efficacemente il ritmo trafelato della narrazione.
L'intera pellicola si regge sulla memorabile
performance di un Jake Gyllenhaal dimagrito dieci chili, mai così scatenato e invasato come nei panni di Lou, un disoccupato (che, all'inizio, ruba per vivere) mosso da indomita ambizione. E' una versione acida dell'
American dream. Lou si aggiorna, studia instancabilmente. La sua volontà di realizzazione non conosce freni. Non possiede scrupoli. Quando inizia a riprendere video di incidenti stradali, li prova a vendere a una tv locale e decide di farne un lavoro: ha inizio un'eccentrica scalata al successo, anche grazie alla complicità di Nina (Rene Russo), la responsabile dell'emittente, che condivide la sua voracità di immagini crude e dirette. Eppure Lou, per quanto sicuro di sé, agisce di riflesso: la sua intraprendenza è automatica, come scatenata dall'esterno. Il dramma del personaggio è che alla mancanza di scrupoli corrisponde assenza di consapevolezza, carenza di senso della correlazione fra la realtà, le proprie azioni e il proprio sguardo. La modifica italiana del titolo per una volta appare una licenza felice: Lou è sciacallo in quanto si avventa sulle vittime della violenza altrui per cibarsene a proprio uso e consumo. La caratterizzazione di questo personaggio deviato e isolato è prossima, per intensità, a quella di De Niro in "
Taxi Driver".
Da qualche anno, piattaforme come YouReporter consentono a tutti di improvvisarsi cronisti d'assalto. L'accessibilità del mezzo, la possibilità di istantanea diffusione del prodotto, fanno sì che anche i principali network di informazioni abbiano preso ad attingere a fonti amatoriali. D. Gilroy racconta il lato oscuro del giornalismo, ponendo l'accento su come l'istinto alla spettacolarizzazione (della violenza
in primis) sia giunto a prevaricare su ogni senso etico. Tutto ciò è concausa anche di un appiattimento dello sguardo: si genera un livellamento sull'immediato, sulla superficie, perdendosi necessità e capacità di approfondimento. Sono gli stessi argomenti, in fondo, su cui rifletteva De Palma in "
Redacted".
La caustica disamina del cinismo dei
mass media si incrocia con il tema della crisi economica avvenuta in un contesto culturale dove sembra smarrito il senso d'appartenenza alla società. E' nel contesto di un mondo di individui pronti ad azzuffarsi che si compie la riflessione di Gilroy sui mezzi di riproduzione e manipolazione mediatica della realtà (non più solo delle opinioni). La gente ha bisogno che il proprio risveglio sia accompagnato da immagini scioccanti, e Nina ha il famelico bisogno di immagini quanto più esplicite possibile. Così come la coazione a ripetere si è sostituita all'obiettività della cronaca, alla ricerca dello scoop maggiore fa seguito la possibilità di intervenire a modificare subdolamente la realtà, per rendere il racconto più accattivante. Come si trattasse di un set, Lou non esita a spostare un cadavere per rendere migliore l'inquadratura, o a spostare a proprio piacimento, sopra un frigo, magneti e foto di famiglia.
A una prima parte in cui il racconto procede per eventi giustapposti, fa seguito una seconda in cui un intreccio thriller più classico è portato alle estreme conseguenze, in una parte finale i cui colpi di scena scatenano un'iperbole di senso. Anche a livello stilistico, si avverte una certa influenza di De Palma: l'atmosfera, spesso di sulfurea ironia, ricorda tratti analoghi dei thriller
depalmiani degli anni 70 e 80. Come in "
Omicidio a luci rosse", il fascino di guardare la violenza in azione porta a interagire con essa - lì per impedirla, qui per riprenderla o addirittura provocarla. Simile è pure l'esasperazione dei personaggi, che si ferma giusto un attimo prima della caricatura.
Il film ha certamente imperfezioni. Le potenzialità del rapporto fra Lou e Nina non appaiono pienamente sviluppate; nella seconda parte, non tutto appare perfettamente controllato e in generale a Lou sembra tutto troppo facile. Si tratta di limiti benvenuti a fronte soprattutto del ritratto di una Los Angeles più nera che mai, che si aggiunge alla fosca galleria di pellicole ambientate in una città che, sin dagli anni 40, il cinema statunitense ha eletto a scenario privilegiato per rappresentare la brutalità metropolitana.
11/11/2014