"Must be the season of the witch", la canzone di Donovan risuona durante tutto il montaggio iniziale che corre tra le stradine della periferica Mill Valley, Pennsylvania. Scatta il cortocircuito: siamo nel 1969 e mentre Nixon passa sulle televisioni nazionali, stato di guerra in Vietnam al suo apice, nei drive-in proiettano "Night of the Living Dead", assurto oggi a potentissima didascalia critica contro il capitalismo e la frenesia guerrafondaia tra i Cinquanta e i Sessanta. "Scary Stories" sta parlando di politica, o magari di genere cinematografico in quel preciso contensto storico, o entrambe le cose.
La stagione della strega, da tradizione, comincia a Halloween, l'ultimo della stagione scolastica di Stella e i suoi due amici. In fuga da un gruppo di bulli, incontrano per caso Ramon, giovane renitente di origini sudamericane, che li aiuta a scampare al pestaggio. La storia dei quattro comincia dalla classica haunted house, a cui seguono tanti altri topoi del genere quali magia nera, fantasmi, creature grottesche. Da un libro appartenuto a una ragazza condannata sul finre dell'Ottocento per pluriomicidio di bambini, prendono vita storie del terrore che coinvolgono ogni membro del gruppo.
Il film diretto da André Øvredal si regge sui punti fermi del genere, legando assieme le leggende urbane di cui Alvin Schwartz negli anni Ottanta face una raccolta di storie brevi. Al risultato produttivo finale, un horror adolescenziale, vanno aggiunti altri riferimenti importanti come la narrativa di Stephen King, in particolare il rapporto dei protagonisti con le loro paure concretatesi dal foglio nel mondo reale, e l'episodicità degli eventi connaturata a una produzione seriale.
Fortunatamente "Scary Stories" alza l'asticella e si propone come lungometraggio di qualità per il pubblico di riferimento, gli adolescenti, assestando anche qualche spallata al tabù della violenza, senza eccedere per non rischiare sul rating. Øvredal lancia pretese moderate e si nota una consolidata praticità nel ritmare la tensione e l'orrore, posizionando non sempre convenzionalmente la mdp (d'impatto alcune soggettive e i movimenti di macchina). Il livello però diventa altalenante, dipendendo molto dalla situazione che prima si diceva "seriale". Il plot infatti si articola similmente a quanto visto in "It" (2017), una sequela prevedibile di situazioni ridondanti nella formula, efficaci nella differenziazione estetica.
Concreta e sufficiente la pretesa sociale e politica, ravvisabile nell'apporto produttivo di Guillermo Del Toro. Il 1969 di "Scary Stories" non sembra solamente nostalgico, prova anzi a riesumare il collegamento tra i film autoriali di genere in seno alla tensione del periodo storico. Ramon e Stella indubbiamente sono l'oggetto speculare della riflessione dei rapporti di forza e potere negli USA: Ramon, vittima di pregiudizi razziali, scappa dalla leva obbligatoria mentre Stella si rifugia nella scrittura dell'orrore. Entrambi dunque rappresentano una necessità di reazione al clima politico soffocante, incombente e, qui il film di Øvredal si dimostra franco, fortemente negativo, se si pensa che Ramon è destinato a partire per il Vietnam.
"Scary Stories" si rivela intrattenimento per adolescenti da proporre e far vedere prima di crescere. Prima di passare a ciò che viene citato con amore. Poco importa se la storia della famiglia Bellows, seppur ben amalgamata col resto degli eventi, rimanga poco interessante (inoltre le somiglianze con "Crimson Peake" si notano come riutilizzo pigro). La mano del norvegese Øvredal (dopo i positivi "Troll Hunter" e "Autopsy") valorizza un altro film da considerare prezioso, imperfetto e coraggioso come è stato un altro lungo a misura di giovanissimi, "Il ragazzo che diventerà re".
cast:
Gil Bellows, Kathleen Pollard, Gabriel Rush, Austin Zajur, Michael Garza, Zoe Margaret Colletti
regia:
André Øvredal
titolo originale:
Scary Stories to Tell in the Dark
distribuzione:
Notorious Pictures
durata:
108'
produzione:
1212 Entertainment, CBS Films, Double Dare You, Entertainment One, Sean Daniel Company
sceneggiatura:
Dan Hageman, Kevin Hageman
fotografia:
Roman Osin
scenografie:
David Brisbin
montaggio:
Patrick Larsgaard
costumi:
Ruth Myers
musiche:
Marco Beltrami, Anna Drubich