Ambientato nel 1939, all'alba del secondo conflitto mondiale, "A Royal Weekend" ci introduce tra le pareti della residenza materna del 32esimo presidente americano, Franklin Delano Roosevelt, dove l'incontro con il re e la regina d'Inghilterra - per la prima volta negli Usa - sta per ridisegnare gli assetti mondiali alla luce di una nuova amicizia. Un momento storico fondamentale sul cui sfondo si consuma la passione del presidente per la cugina di quinto grado, Margaret "Daisy" Suckley, e non solo.
La voce off di Daisy ci accompagna tra la vastità bucolica della tenuta, presso Springwood a Hyde Park, raccontandoci gli eventi dal punto di vista di una confidente che dalle quinte assiste al dispiegarsi della Storia. Diventa, però, protagonista - e comprimaria - quando si insinua nel presidente il recidivante desiderio di evasione tra le protettive braccia di una donna.
La realtà di questa relazione appassionata ma adulterina, taciuta fino alla fine, è giunta sino a noi attraverso i diari che Margaret Suckley ha gelosamente conservato sotto il letto fino alla sua morte e il cui ritrovamento ha dato nuova linfa a quella narrativa, sempre florida, che alla politica intreccia il torbido. Da un lato la Storia, dall'altro la passione che tentano di intersecarsi attraverso l'anello di congiunzione rappresentato dalla cugina, ma senza riuscirci, perché il risultato complessivo somiglia più a quel pastiche che si ottiene quando un film non è la realizzazione di una idea, ma di uno - o un paio - di spunti anelati a vincenti.
In questo caso, far ruotare il fulcro dell'opera sulla centralità della prova attoriale del protagonista, Bill Murray (in un ruolo atipico per il feticcio andersoniano), non è una motivazione sufficiente per depredare la pellicola della sua - sacrosanta - sceneggiatura. Le figure principali, Roosevelt e Daisy, sono altresì atone, senza una sfumatura che ne dipinga i contorni e appaghi l'interesse. Il ruolo della cugina appare, così, più vicino alla evanescenza della voce fuori campo che a un personaggio preminente, a dispetto di un più riuscito - pur nella essenzialità - tratteggiamento del personaggio della moglie di Roosevelt (Olivia Williams). Roger Michell, il già regista di "Notting Hill", non calca la mano sul romanticismo: l'unica scena più allusiva che sentimentale è isolata e lunga il tempo di un fotogramma, ma tenta di costruire l'ideale seguito de "Il discorso del re" attraverso il ritorno sullo schermo del sempre balbuziente re George VI (presente anche in "W.E. - Edward e Wallis" di Madonna), stavolta con le fattezze di Samuel West. E' imbastita dal suo autore una commedia in cui l'elemento storico è esclusivamente funzionale ad arredare la scenografia o a suggerire ilarità a un impianto narrativo debole, come nella scena degli hot dog. Non è approfondito né invoglia lo spettatore verso la conoscenza di una delle tante pagine della storia. Si fa palpabile, con il trascorrere della pellicola, l'attenzione a ricercare più la fortuna del film di Tom Hooper che la scrittura, cosicché il connubio tra l'elemento suadente preso in prestito dalla storia (Roosevelt), il grande attore al servizio di una grande prova (Bill Murray) e l'espediente implicito della continuità con un passato vincente non riesce a fornire le carte in regola, nonostante le aspettative, per vincere una partita già persa in partenza.
cast:
Bill Murray, Laura Linney, Olivia Williams, Olivia Colman, Elizabeth Marvel, Samuel West, Blake Ritson, Elizabeth Wilson
regia:
Roger Michell
titolo originale:
Hyde Park On Hudson
distribuzione:
BIM
durata:
95'
produzione:
Daybreak Pictures, Film Four, Free Range
sceneggiatura:
Richard Nelson
fotografia:
Lol Crawley
montaggio:
Nicolas Gaster
musiche:
Jeremy Sams