È una sontuosa, esaltante panoramica in piano-sequenza quella che apre l'ultima fatica di Matteo Garrone; un incipit esteticamente splendido che fionda lo spettatore nel bel mezzo di un colossale ricevimento dal gusto sfrontatamente kitsch, organizzato in occasione di un appariscente matrimonio nei meandri della provincia campana. È qui che, tra centinaia di improbabili figuri, quasi per caso, ci si imbatte in Luciano e nella sua famiglia. E proprio con lo stessa distratta accidentalità comincia la storia di questo pescivendolo napoletano, attivo insieme alla consorte in un traffico illegale di robot da cucina, che, a causa della passione beffarda per i travestimenti con cui si diletta a intrattenere sovente i commensali, si ritrova - sempre per caso - a partecipare alle selezioni del Grande Fratello. Un'esperienza che, involontariamente, muterà (in peggio) la sua vita e i suoi rapporti familiari, spingendolo alla deriva.
Va detto subito: "Reality" non è un film sul Grande Fratello o sulla televisione. Quello di Garrone non vuole essere uno dei tanti, didascalici prodotti cinematografici di denuncia socio-culturale, ma ha un compito più astratto, ambizioso, profondo: descrivere il percorso autodistruttivo di un uomo di comune, innocua mediocrità, indotto, volente o nolente, a confondere il vero con il falso, il reale con l'illusorio. Questo ritratto personale, autentico e ispirato di una quotidianità corrotta e deteriorata dal suo interno conferma tutti i grandi pregi di Matteo Garrone, l'unico cineasta italiano capace di raccontare con evidente onestà e talento immaginifico una storia così banalmente vera e feroce. L'amore e il rispetto che il regista ha sempre dimostrato verso le identità dei singoli personaggi raggiunge qui un livello di tensione empatica fortissimo. Eppure la benevolenza con cui lo spettatore guarda Luciano, Maria e tutti coloro che vivono e agiscono con loro non offusca la lucidità di un'analisi molto solida e artisticamente intensa.
Il contrasto tra il livello reale e quello immaginario viene restituito formalmente grazie all'uso continuo di lunghi piani-sequenza (che dovrebbero mostrare al meglio lo sviluppo effettivo degli eventi nello spazio e nel tempo) giustapposto a una fotografia cromaticamente carica fino all'inverosimile (che, per volontà dell'autore, ricorda l'estetica del cartone animato) e alle musiche rarefatte e fiabesche di Alexandre Desplat. Gli stessi personaggi, per quanto caricaturali, grotteschi e fisicamente bizzarri in una prima parte gustosamente farsesca, vengono poi delineati con piglio estremamente naturalistico nel momento in cui si relazionano fra loro.
Man mano che procede, "Reality" si incupisce e si trasforma come il suo protagonista, prendendo le fattezze di un'allarmante, paradossale odissea contemporanea. Infatti Luciano, dopo il provino a Cinecittà, intraprende un viaggio di sola andata fuori da se stesso, alla ricerca di un alternativo "io" televisivo che gli permetta di terminare definitivamente una mutazione sempre desiderata, sempre tentata, ma irragiungibile con dei semplici, giocosi travestimenti. Questo difficile percorso interiore, che si compie nell'immobilità paranoica della teledipendenza, impone al regista di abbandonare il precedente approccio oggettivo-cronachistico (imposto dalla cangiante pluralità di storie contenute in "Gomorra") per adottare un criterio narrativo completamente soggettivo che arriva molto spesso a far coincidere il punto di vista della macchina da presa con quello del protagonista, introducendo un impiego originalissimo del fuori-fuoco che ritrae, deformandoli, gli inesistenti "controllori della tv" che popolano le fantasie paranoiche del personaggio principale, in un'impossibile, metafisica soggettiva esterna.
Così ogni eventuale sostegno di natura affettiva (il rapporto con la famiglia-complice, presenza continua e assillante), razionale (la perdita del lavoro e la rovina economica) o irrazionale (il fervore religioso) crolla di fronte all'ineluttabilità del processo di trasformazione dell'illusione ingannevole in ossessione vitale. Quando finalmente Luciano riesce ad attraversare, invisibile come uno spettro, i bui, silenziosissimi corridoi degli studi televisivi e le asettiche stanze ultramoderne della "Casa", la metamorfosi è suggellata da una lunga risata isterica, carica di rassegnata soddisfazione, mentre quell'universo fittizio e mendace viene definitivamente risucchiato in un'ultima vertiginosa panoramica sospesa nel vuoto anonimo di un bluastro, uniforme ambiente urbano in decadenza. Emblema metaforico del malato egocentrismo di un uomo e dell'inarrestabile involuzione culturale di un intero paese.
Per saperne di più: Garrone, Arena - Speciale Reality
cast:
Aniello Arena, Nando Paone, Loredana Simioli, Nello Iorio, Nunzia Schiano
regia:
Matteo Garrone
titolo originale:
Reality
distribuzione:
Fandango, 01
durata:
115'
produzione:
Matteo Garrone, Jean Labadie, Domenico Procacci
sceneggiatura:
Matteo Garrone, Massimo Gaudioso
fotografia:
Marco Onorato
scenografie:
Paolo Bonfini
montaggio:
Marco Spoletini
costumi:
Maurizio Millenotti
musiche:
Alexandre Desplat