La giovane regista francese Julia Ducournau mette in scena con “Raw – Una cruda verità” un interessante e straniante horror coming-of-age, descrivendo la scoperta di segreti interiori della giovane protagonista Justine (Garance Marillier) e del suo rapporto conflittuale con la sorella maggiore Alexia (Ella Rumpf). Justine inizia a frequentare il primo anno della facoltà di veterinaria all’Università di Liegi. Come già i suoi genitori in precedenza, così come la sorella che è già una studentessa della stessa scuola, appare la scelta di curare gli animali una tradizione familiare che viene rafforzata dall’essere una vegetariana.
Il tema immediato ed esplicito della repulsione-attrazione verso la carne è fin dall’inizio rappresentato dalla regista. Viene mostrata subito la repulsione di Justine quando nel piatto di purè che mangia in un autogrill trova un pezzo di carne, mentre si fermano durante il viaggio con i genitori dalla Francia verso Liegi. Così come la resistenza a mangiare un fegato crudo di coniglio durante la settimana di iniziazione a cui sono sottoposte le matricole da parte degli studenti anziani. Justine sarà costretta a deglutire carne proprio da Alexia, che ha già abdicato.
Ma “Raw” non parla di conflitti ideologici sul rispetto degli animali. I corpi degli animali sono solo un tramite, un transito visivo simbolico, per l’attrazione verso la carne umana che colpisce Justine e che Alexia già pratica. Dopo la costrizione a ingoiare il fegato di coniglio, Justine ha una reazione cutanea violenta. In un primo momento appare come un’intossicazione alimentare, ma l’eritema non è altro che il sintomo del risveglio della sua fame di carne. Lentamente, per scene successive, durante la settimana di iniziazione, fatta di sballi, feste, pressioni psicologiche e soprusi fisici, è mostrata la fame di carne cruda, prima animale e poi umana. La scena clou avviene quando per un incidente Justine provoca l’amputazione del dito di una mano di Alexia. Presa dal panico, mentre la sorella è svenuta e dopo aver chiamato i soccorsi, recupera il dito. Ma invece di custodirlo è attratta dall’odore della carne e del sangue e alla fine lo mangia in modo bestiale.
Il tema della fame è quello più profondo di “Raw”. Una fame che si abbina non solo al sesso – l’attrazione fisica per il compagno gay di stanza di Justine, Adrien (Rabah Naït Oufella) – ma un profondo ed estremo senso di amore che sfocia nel possesso dell’altro. Il cibarsi del dito della sorella è anche un atto di completo possesso del soggetto, un introiettare la carne dell’amato (sia esso quella della sorella o di Adrien, oppure il rapporto svelato nel bellissimo finale tra i genitori) all’interno del proprio corpo. L’atto cannibalico diventa così la conseguenza estrema di una latenza tribale interiore. Se pensiamo che in molte civiltà primitive le tribù guerriere si cibavano dei corpi dei nemici uccisi in battaglia per acquisire la forza del nemico, così la fame di Justine non è altro che la soddisfazione di una pulsione atavica al possesso dell’oggetto amato.
Ma se la Fame per Justine può essere interpretata sotto questa luce, al contrario quella di Alexia è di una Cacciatrice. La sorella appare come una fiera che arriva a uccidere pur di cibarsi, non più come pulsione sessuale, ma come appartenente a un gruppo di esseri mutanti che sono all’inizio di una catena alimentare dove le prede sono altri esseri umani. Così, se nella sua trasformazione di ragazza timida a divoratrice di carne umana, Justine tenta sempre di controllarsi, di combattere il suo istinto, la sorella al contrario abbraccia completamente in modo cinico e spietato la sua natura ferina. Il confronto-scontro tra le due sorelle viene mostrato dalla Ducournau nella scena emblematica nella lite pubblica tra le due ragazze che si mordono a sangue.
Un altro spunto d’interesse sviluppato in “Raw” è il potere femminino che si estrinseca nello scontro per il possesso del maschio. Oggetto del contendere tra le due sorelle è proprio il corpo di Adrien. Justine perde la sua verginità con Adrien e nel rapporto sessuale troverà piacere nell’estasi della carne, ma arriva a mordere il suo braccio per non ferire l’amante. Alexia, per gelosia, arriva a possedere in modo totale Adrien sottraendolo alla sorella.
La simbologia tra sessualità e sangue, tra corpo e pulsione della fame, è reiterato per tutto “Raw”. Le matricole sono inondate da sangue animale e costrette a stare bagnate per un’intera giornata; Justine ha più volte la bocca e il mento bagnato di sangue, così come la perdita di sangue dal naso è la metafora delle mestruazioni, del mistero insito della vita e della morte prodotta dal femminino e affermazione del potere sul mascolino.
“Raw” può essere anche letto come una rappresentazione del viaggio verso la maturità di Justine, di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, alla sua trasformazione in donna che esercita il suo potere nei confronti degli uomini. Mai, come in questo film, gli uomini appaiono soggetti passivi, trasformati in oggetti da possedere, usati per il proprio piacere, i cui corpi diventano carne di cui cibarsi.
Il sangue, onnipresente, è il simbolo di vita e di morte, di crescita e possesso, di materializzazione visiva della forza vitale di cui solo le donne sono le sacerdotesse. Il sangue come tessuto organico diventa la veste della sorellanza che disegna la linea genetica che collega Justine con la sorella e la madre.
L’incipit di “Raw” è significativo del punto di vista della Ducournau, In un campo lungo è ripreso un incidente d’auto causato da una ragazza lungo una strada isolata e alberata. Le figure umane sono distanti, l’ambientazione è astratta e priva di altri elementi. Anche l’Università è ripresa in esterno in campi lunghi, con edifici spogli, decadenti, freddi e sporchi. La contrapposizione formale tra esterni ed interni, ripresi con totali e primi piani dei tre protagonisti - così come il vuoto degli esterni e il pieno (di persone, animali e oggetti) degli interni – pone la pulsione scopica sul corpo dei protagonisti e rappresentano la mutazione della psicologia delle due sorelle che sono entrate in uno spazio alterato del loro vissuto.
La luce plumbea e il colore grigiastro e indifferenziato della fotografia d’ambiente mettono in risalto il colore rosso del sangue, come a evidenziare un mondo di zombie, di potenziali prede, che viene illuminato dalla duplice azione di vita/morte. Il sangue nel suo scorrere è sia (de)privazione della vita che affermazione della stessa nella medesima inquadratura, nel suo farsi atto e rendersi visibile allo sguardo dello spettatore.
Da questo punto di vista la Ducournau con “Raw” fa propria la lezione dei suoi colleghi del new horror francese come Pascal Laugier, Alexandre Aja, Alexandre Bustillo e Julien Maury, Xavier Gens, Fabrice Du Welz, in particolare nella messa in scena claustrofobica e in un profilmico ridotto all’essenziale, ma con uno sguardo tutto al femminile originale e sincretico.
“Raw” è un’opera allo stesso tempo carnale ed epifanica che riesce a penetrare senza remore interstizi di tempo e di spazio, dove l’umano è trasfigurato fino all’estrema conoscenza della sessualità e dei corpi in una realtà sovrapposta al quotidiano.
cast:
Garance Marillier, Ella Rumpf, Rabah Naït Oufella, Laurent Lucas, Joana Preiss
regia:
Julia Ducournau
titolo originale:
Grave
distribuzione:
Universal Pictures
durata:
95'
produzione:
Petit Film, Rouge International, Frakas Productions
sceneggiatura:
Julia Ducournau
fotografia:
Ruben Impens
scenografie:
Laurie Colson
montaggio:
Jean-Christophe Bouzy
costumi:
Elise Ancion
musiche:
Jim Williams