Le sequenze iniziali ci dicono che cosa sarà del resto del film. “Rapiniamo il duce” gioca con la Storia rinunciando fin da subito ad analizzarla nei suoi risvolti più drammatici. La Seconda guerra mondiale e il regime fascista nella Milano del 1943, per quanto di lugubre memoria, sono da subito sgombrati degli aspetti più scabrosi per diventare materia da spettacolo. A dircelo è innanzitutto il movimento ad ampio respiro con cui la macchina da presa atterra sulla città in guerra dopo averla perlustrata dall’alto in basso con velocità sufficiente per farci apprezzare la grandeur scenografica cui Renato De Maria si affida per introdurre lo spettatore alla ricostruzione di quei terribili anni. Appena in tempo a presentarci il personaggio interpretato da Pietro Castellitto e a prendere il sopravvento è, manco a farlo apposta, il cinema, rappresentato dalla sala cinematografica nella quale poco dopo ritroviamo Isola e Yvonne, amanti e complici a capo dell’impresa impossibile con cui insieme a una squadra di simpatici lestofanti cercheranno di farla pagare al Duce e ai suoi accoliti derubandoli del tesoro frutto delle numerose confische belliche.
Mentre i due si confrontano sul da farsi, discutendo sulle possibilità di vivere felici facendo il colpo della vita che permetterà loro di sistemarsi lontano dall’Italia, sul grande schermo scorrono le immagini documentaristiche sul tipo di quelle prodotte dall’Istituto Luce in cui la minacciosa propaganda di Benito Mussolini si staglia su tutto e tutti con assoli e primi piani destinati però a restare confinati all’interno dello schermo. Il corpo del Duce non spaventa, messo com’è in secondo piano da questioni sentimentali e interessi mercantili e, al massimo, preso come prototipo per la messinscena farsesca con cui di li a poco De Maria darà vita alla schiera di cattivi contro cui Isola e la sua squadra si dovranno confrontare per riuscire ad espugnare la cittadella in cui è depositata l’enorme ricchezza.
Insomma, in “Rapiniamo il duce” guerra e fascismo sono ingredienti da cinema, buoni per imbastire un'avventura sul tipo di quelle che in Italia si giravano negli anni 70, tempi in cui il cinema di genere americano veniva clonato con forme di cinema più consone all’umore nostrano. Così, accanto ai divi di turno, non solo Castellitto, che qui aspira ad esserlo nel suo primo ruolo da protagonista, ma anche Matilda De Angelis che in qualche modo già lo è, avendo recitato accanto a star come Nicole Kidman e Hugh Grant (“The Undoing - Le verità non dette”), troviamo un campione della risata come Maccio Capotonda - nella parte di uno sciroccato asso del volante -, chiamato a fare da contraltare con la sua verve comica e la sua simpatia alla maschera tragica del gerarca Filippo Timi cui il regista affida il compito di incarnare il ruolo del villain destinato, come nei blockbuster americani, a sostenere il peso drammaturgico dell’intero film. Affiancato dalla minacciosa dark lady interpretata da un'ottima Isabella Ferrari, per l’occasione impegnata in un personaggio a metà strada fra Crudelia De Mon e la Norma Desmond di “Viale del tramonto”.
Chiamato a scegliere tra heist movie e commedia d’azione, “Rapiniamo il duce” decide di stare nel mezzo moltiplicando le citazioni cinematografiche e soffermandosi più sulle caratterizzazioni dei personaggi che sui meccanismi narrativi relativi alla realizzazione del colpo su cui il film sembra quasi voler sorvolare.
Rispetto a un'operazione come “Freaks Out”, cui “Rapiniamo il duce” è accomunato per il rapporto con la Storia e per l'idea di sfidare sul piano della spettacolarità e della confezione i prodotti mainstream provenienti d’Oltreoceano (oltre che per la presenza in entrambi i film di Castellitto), il film di De Maria si accontenta di essere quello che è, un lungometraggio di puro intrattenimento sul modello frivolo e leggero imposto da Netflix, da sempre attento a normalizzare gli aspetti più complessi della sua offerta per non precludersi la possibilità di essere spendibile a una platea sempre più larga di spettatori.
Come autore De Maria non commette l’errore di sentirsi in colpa per non aver preso di petto gli orrori della guerra e dunque non fa lo sbaglio di appesantire lo spettacolo con richiami alla retorica antimilitarista. Il regista tira dritto per la sua strada e anzi, a scanso di equivoci, si premura di non essere frainteso facendo morire l’unico tra i personaggi coinvolto nella vicenda per ragioni di militanza e non per soldi. Destinato a saltare l’uscita in sala per presentarsi direttamente in piattaforma a partire dal 26 ottobre, “Rapiniamo il duce” è un fillm senza infamia e senza lode, adatto a soddisfare il suo pubblico di riferimento.
cast:
Pietro Castellitto, Matilda De Angelis, Tommaso Ragno, Isabella Ferrari, Maccio Capatonda
regia:
Renato De Maria
distribuzione:
Netflix
durata:
90'
sceneggiatura:
Renato De Maria, Federico Gnesini, Valentina Strada
fotografia:
Gianfilippo Corticelli
scenografie:
Giada Calabria
montaggio:
Clelio Benevento
musiche:
Yann McCullough