E se il vero eroe di "Prometheus" fosse Arthur Max? E se fosse lui il vero burattinaio di questa gigantesca operazione commerciale prima ancora che cinefila?
Vi spieghiamo chi è Max: è il fedele scenografo che segue Ridley Scott dai tempi del terrificante "Soldato Jane". È l'uomo con il compito di far diventare realtà l'immaginifico mondo di finzione che il cineasta britannico è così straordinariamente bravo a tratteggiare. Stavolta, alle prese con location terrestri mozzafiato, con un'astronave senza precedenti nella storia del cinema quanto a precisione nel minimo dettaglio e, soprattutto, con un 3D che, caso tra i pochi finora, assume un perché profondo e concreto, Max e Scott si superano. L'apparato visivo, che unisce oltre alla tecnica del 3D un digitale mozzafiato e degli effetti visivi che riescono nell'impresa di assomigliare davvero ai vecchi trucchi di gomma e cartapesta dei tempi d'oro della New Hollywood, è una pietra miliare del nuovo cinema "tecnologico". "Prometheus", se avrete la fortuna di visionarlo in una sala con schermo e apparato sonoro adeguato, sarà un'esperienza sensoriale senza precedenti, un viaggio nelle possibilità dell'uomo e delle macchine che egli padroneggia.
Immaginiamo l'approccio a quest'opera di Scott. Reduce da una serie di film non molto felici, considerato ogni volta che si ripresenta con una nuova fatica al capolinea di una carriera che ha regalato capolavori solo al principio, l'inventore di "Alien" e "Blade Runner" ha riscoperto con questo suo ultimo mastodontico impegno il gusto per la sfida al genere da cui tutto era partito: la fantascienza. Ha cercato di ricordare a tutti che i difetti che gli sono sempre stati imputati possono ancora servire a girare grande cinema. Sì, perché l'accusa che spesso viene mossa a Scott è di essere un grande esteta, un architetto dell'immagine e dell'atmosfera, ma uno scarso narratore, un regista impegnato nel catturare la bellezza visiva con la pretesa che possa, questa da sola, generare una storia degna di essere raccontata. In realtà, questa è stata la piega che il suo cinema ha preso a partire dagli anni 90.
In "Alien", ad esempio, non c'era solo cinema della tensione, dell'atmosfera. C'era anche una lotta tutta al femminile che faceva il verso agli interrogativi più profondi sugli istinti di procreazione delle specie viventi. C'era una lotta per la sopravvivenza, messa in scena con il trucco del fantahorror, mirata a tramandare il proprio gene a costo della vita altrui.
"Prometheus", che oltre tutto con un'operazione-nostalgia smaccatamente evidente si presenta come una sorta di "semi-prequel" del capolavoro del 1979, parte con una serie di interrogativi esistenziali a bordo della nave spaziale che, a ben vedere e a conti fatti, al termine di oltre due ore che non risparmiano niente all'occhio dello spettatore, restano in larga parte inevasi. Il gruppo di scienziati, diviso fra chi vuole coronare il sogno di sapere da dove proviene la vita e chi vuole invece scoperchiare il vaso di Pandora del guadagno miliardario facile, incontrerà sul lontano pianeta una specie aliena che, probabilmente, ci ha "prestato" il suo dna per darci la vita. Poi, però, ci ha rifiutato e ha tentato di sterminarci. E neanche ha fatto in tempo a pensare come farlo che qualcos'altro di ben più feroce ha fatto fuori lei. Questo "Alien" 2.0, però, ha due seri problemi che il suo antenato non aveva.
In primo luogo, la sceneggiatura scritta a quattro mani da Jon Spahits e dal lostiano di ferro Damon Lindelof è letteralmente schiacciata dal peso degli effetti speciali. Personaggi ridotti a fantasmi indecifrabili, svolte narrative al limite dell'inspiegabile, intere sequenze, le più forti ed eccitanti visivamente, insistite solo per rialzare il livello dell'adrenalina. Tutto questo, alla fine, porta il film di Scott a risultare l'ennesimo carrozzone dalla confezione impeccabile, che dimentica, però, il suo doversi fare opera compiuta, con una storia da portare a termine.
In secondo luogo, poi, c'è un distacco davvero grave fra le ambizioni che, in modo fin troppo didascalico, vengono esposte in principio e i risultati cui il corso dell'opera perviene al termine del viaggio. Ed è così che gli intenti veri, quelli di trasformare i nuovi prodigi della tecnologia applicata al cinema in occasione per stupire con qualcosa di profondamente emozionante, vengono a galla e destinano alla mediocrità la fatica di Scott. L'autore, da par suo, si conferma ancora una volta un vero professionista, anche alle prese con il 3D non rinuncia all'azione "umana", al set fisico e all'utilizzo degli interpreti, ma l'impressione è che tutto sia rimasto "in potenza".
È curioso come l'esperienza stessa della realizzazione di "Prometheus" si rifletta nel soggetto del film, anche per Ridley e soci, infatti, si verifica la medesima maledizione: il sogno dell'uomo di dominare la tecnologia per farne un mezzo per realizzare degli scopi fin troppo alti si infrange senza prova d'appello.
cast:
Noomi Rapace, Michael Fassbender, Charlize Theron, Idris Elba, Guy Pearce
regia:
Ridley Scott
distribuzione:
20th Century Fox
durata:
124'
produzione:
Brandywine Productions, Dune Entertainment, Scott Free Productions
sceneggiatura:
Jon Spaihts, Damon Lindelof
fotografia:
Dariusz Wolski
scenografie:
Arthur Max
montaggio:
Pietro Scalia
musiche:
Marc Streitenfeld