Aissa (Shaïn Boumedine) è un soldato della prestigiosa accademia militare francese Saint-Cyr. Assieme al fratello Ismaël (Karim Leklou) e alla madre è scappato dall’Algeria durante la guerra d’indipendenza. A causa di uno stupido scherzo Aissa perde la vita – alias il fratello del regista Rachid Hami.
Bahutage
Un fenomeno dilagante, in realtà spiegabilissimo, dai collegi universitari alle accademie militari. Bahutage, o nonnismo, la ragione per cui Aissa è morto, una selezione gerarchica, preordinata, maschilista sotto ogni aspetto, uno spettro agghiacciante della violenza, fenomenologicamente xenofoba, ritualistica, edipiana per eccellenza, che Rachid Hami racconta con rigore. Hami resta (volutamente?) sul penale, «se è colpa del sistema non è colpa di nessuno» dice il fratello, alla ricerca di una responsabilità che sazi la sua fame escatologica, personale, e faccia da molla induttiva al film, ma se le premesse per reificare la cultura della morte c’erano tutti, il regista manca l’approfondimento morale, tassonomico per esempio de “Il male non esiste”, cioè: il nonnismo vive della consequenzialità, dell’accettazione, dell’interpretazione della concausa come processo obbligato; punire l’ultimo abusatore è una toppa più piccola del buco, l’unico discorso possibile è organico, sistematico. Hami ci va vicino.
Elisabetta II
Il tema del colonialismo, come laboratorio occidentale, di democrazia – a Venezia79 presentissimo, vedi “Innocence” o “The happiest man in the world”- avrebbe meritato più spazio. È abbozzato, nel flashback algerino - durante la guerra di indipendenza, il padre dei fratelli fa parte del FLN (Front de Libération Nationale), l’organizzazione militare che dal 1958 in poi colpirà anche sul territorio francese - e nella risposta secca di Aissa, “saresti capace di uccidere per la Francia? Si”. Per la seconda volta, la scelta intimista di Hami sfocia nel complessivo ma resta incompiuta, anche di fronte alla simbologia militare, all’impalcatura semiotica che la famiglia esige, di cui conosce l’importanza, il motto fascista “dio, patria, famiglia”, che in fondo è la chiave per militarizzare le dinamiche sociologiche e la Francia ne sa qualcosa.
Ius Sanguinis
La scena finale, il karaoke in un taxi di Seoul, Aissa e il fratello rappano cattivi, la cartolina di una narrazione personalissima, che nel dialogo tra i fratelli non resta tra le mani del regista ed esplode la sua natura bivalente, appassionata e lacerante, annodata alla scelta del padre, soldato, di scappare solo con Aissa, per sottrarlo al piano della madre, andare in Francia e dare un futuro ai suoi figli. “Perché ha scelto lui?”, è la domanda a cui Ismaël non trova risposta; è divorata dall’invida, convinto di non essere all’altezza del fratello, pronto a sacrificarsi per la patria, una scelta che non comprende, perché non ne ha, non vuole, avere gli strumenti per farlo. Hami mette in scena tutta la complessità dell’essere fratelli, tragica per Sofocle, insondabile.
cast:
Hugo Becker, Lubna Azabal, Laurent Lafitte
regia:
Rachid Hami
titolo originale:
Pour la France
distribuzione:
Memento Distribution
durata:
113'
produzione:
Mizar Films, France 2 Cinéma, Ma Studio
sceneggiatura:
Rachid Hami, Ollivier Pourriol
fotografia:
Jérôme Alméras
scenografie:
Cécile Deleu
montaggio:
Joëlle Hache
costumi:
Joana Georges Rossi
musiche:
Dan Levy