Se nel lontano, ma non troppo, 1999 la strega di Blair attraverso un'intelligente operazione cinematografica e filmica aveva saputo coniugare le necessità del low budget con quelle di una produzione di un horror di qualità riuscendo, così, a raggiungere il mainstream e divenendo inaspettatamente film campione d'incassi in giro per il mondo era, allora, inevitabile che sulla sua scorta sarebbe nata una lunga serie di figli spurii. Così è, infatti, stato fino al nuovo fenomeno di "Paranormal Activity" che a fronte d'un budget di 15.000 dollari era riuscito a portare in cassa quasi 200 milioni cercando di replicare nelle sue linee fondamentali l'alchimia di "The Blair Witch Project": camera amatoriale, montaggio per intervalla insaniae, eventi sovrannaturali che fanno capolino di tanto in tanto, ma non poi così spesso, in un accumulo della tensione che si insinua nelle attese. Rispetto al predecessore sono due le differenze fondamentali: mentre nell'inseguimento della strega di Blair la macchina da presa sempre a mano generava un effetto ondivago nel film sulle attività paranormali delle camere fisse in HD congelavano gli ambienti domestici, mentre nel film del 1999 erano gli spazi aperti la scena in cui il terrore si impossessava dei protagonisti in quello del 2009 tra le mura casalinghe si insinuava l'inaspettato. Il confronto è impietoso e lascia "Paranormal Activity" al palo, legato dalla sua stessa mediocrità.
Ma il successo, avendo spesso ben poco a che vedere coi meriti dell'opera, spinse alla produzione di un seguito ed ecco che nel 2010 venne alla luce "Paranormal Activity 2": stavolta con un budget più ricco, ma sempre modesto di 3 milioni servito a riportarne a casa 177 e confermando quello che è il miglior pregio di questa saga, ovvero il moltiplicare esponenzialmente gli investimenti (cosa non da poco affatto, soprattutto se paragonato a "Cowboys & Aliens" che scarica 163 milioni giù per il cesso). Se il primo dei due film con la direzione del allora esordiente Oren Peli, al di là dei molti difetti nella scrittura, nella caratterizzazione dei personaggi e nella stessa regia, riusciva a mantenere alta la tensione quasi per l'intera durata della pellicola in un'amplificazione ben strutturata fino alla conclusione spielberghiana, il secondo capitolo perdeva, invece, completamente di mordente principalmente per colpa di un'architettura del crescendo estremamente geometrica che non lasciava grande spazio all'inaspettato e andando ad illuminare gli angoli oscuri del primo non concedeva nulla all'indefinito, all'ambiguo, a quel condizionale di cui l'orrore si nutre voracemente. "Paranormal Activity 2" era un evitabilissimo prequel.
A passo di gambero procede la saga e con il terzo episodio della serie sulle attività paranormali si va ancora più addietro nel tempo. E si va ancora più in basso. E il brutto viene fissato in nuove forme e immagini nell'esibire un campionario quanto mai desueto di imbarazzanti stratagemmi per far sobbalzare lo spettatore dalla poltrona. "Paranormal Activity 3", basato sulla raffinata concezione dell'orrore che consiste nell'uscire fuori con un improvviso "BU!" ed il ripetere ciò ogni cinque minuti fino alla fine della pellicola, con un salto temporale ci conduce nel 1988 all'origine di tutti gli avvenimenti dei due precedenti film: le due sorelle sono ora bambine, ma la loro infanzia non è certo rosea. Fondamentalmente questo terzo episodio riprende tutti gli espedienti delle precedenti pellicole e ancora ed ancora ripropone lampadari che si muovono, rumori che provengono dalle mura, scricchiolii e porte che si chiudono da sole. Ancora ed ancora una volta. Ancora riprese da telecamere quasi sempre fisse. Ancora alla ricerca del facile brivido da vendere ad un pubblico dozzinale quanto la pellicola stessa. A dozzine e dozzine, infatti, il pubblico si riversa in sala e nel solo weekend d'apertura il film incassa 80 milioni sonanti a dispetto di un budget di 5: non era certo questa la lezione di Piero Manzoni, ma similmente all'artista "Paranormal Activity 3" vende merda a peso d'oro.
Non che manchino momenti di tensione o trovate meritevoli d'apprezzamento - la cinepresa/ventilatore su tutte -, ma nel complesso questo film si fa gradire troppo poco continuando a replicare autoreferenzialmente se stesso, come altri brutti horror di questo 2011 (si vedano, o meglio si evitino di vedere, i pessimi esempi di "Scream 4" e "Final Destination 5"), buttando nel calderone risposte alle domande che pone senza la necessaria forza e convinzione.
cast:
Katie Featherston, Sprague Grayden, Lauren Bittner, Christopher Nicholas Smith, Chloe Csengery, Jessica Tyler Brown, Dustin Ingram, Brian Boland, Mark Fredrichs
regia:
Henry Joost, Ariel Schulman
titolo originale:
Paranormal Activity 3
durata:
85'
produzione:
Oren Peli, Jason Blum, Steven Schneider
sceneggiatura:
Oren Peli, Christopher B. Landon
fotografia:
Magdalena Gorka
scenografie:
Jennifer Spence
montaggio:
Gregory Plotkin
costumi:
Leah Butler