A Hollywood ha oramai attecchito da una decina d'anni questa svogliata tendenza che consiste nel riesumare un classico d'animazione Disney per adattarlo a un cinema di finzione in carne ed ossa che cerchi in tutti i modi di rendersi compatibile con la fruizione dello spettatore digitale 2.0. Il paradosso è rappresentato dalla Disney stessa, forse la major più attiva di questo fortunato franchising, si pensi a "
Alice in Wonderland" o al recente "
Maleficent". La verità è che in America la parola cinema fa rima con business, c'è poco da fare. Quindi poco importa se la deliranza di Johnny Depp a conti fatti sia uno dei punti più bassi raggiunti dal cinema di questo nuovo millennio o se l'elemento che più ha scalfito la mente del pubblico nello spin-off de "La bella addormentata nel bosco" con protagonista Angelina Jolie sia proprio Angelina Jolie. La mission produttiva in entrambi i casi può ritenersi senz'altro soddisfatta. E chissenefrega della critica.
Cosa succede però se quell'unico, meschino, obiettivo non viene centrato? Peggio, viene letteralmente rovesciato? La Warner ha voluto copiare la Disney proponendo una rivisitazione funambolica e psichedelica attorno all'immaginario di Peter Pan, il bambino volante che si rifiuta di diventare grande, nato dalla penna di James Barrie nei primi anni del novecento. Coraggiosamente, diremmo col senno di poi, perché Peter Pan di questi tempi porta un bel po' di sfiga, almeno in ambito cinematografico. Lo sa la Universal che nel 2003 è stata protagonista di uno tra i flop più cocenti della sua storia con la realizzazione del film omonimo. Ora lo sa anche la Warner che a fronte dei 150 milioni di dollari di budget ha incassato in tutto il mondo, a più di un mese dalla sua uscita, solo un quinto di quella cifra. Una di quelle perdite clamorose che, come nel caso della Universal, può incidere profondamente sulle finanze di una casa produttiva, anche se si parla di un colosso come lo è la Warner Bros.
Il fatto strano, ancor più dell'ingente campagna di marketing e di pre-lancio in ambito distributivo, è che almeno per una volta la questione flop finanziario collima esattamente con la valutazione tecnica e critica di questo "Pan". Ennesima testimonianza di come un cast di tutto rispetto (soprattutto tecnico ma anche artistico) possa davvero ben poco di fronte alla superficiale messa in piedi di un progetto privo di qualsiasi appiglio autoriale, che avanza per forza di inerzia e che colleziona stereotipi in serie.
La Warner, mica scema, mette sotto contratto il talentuso Joe Wright e, insieme a lui, tra gli altri, i fidati collaboratori premi Oscar Marianelli (alle musiche) e la Durran (ai costumi). Ma per quanto Wright possa far sfoggio della sua classe teatrale e della sua esperienza letteraria (non è facile trasformare in immagini i sentimenti romanzati di
Jane Austen,
Ian McEwan e
Lev Tolsoj. Lui ci è sempre riuscito alla grande), non riesce a tenere saldo il timone di una storia scialba, eternamente indecisa tra lo spirito avventuresco e fanciullesco in stile Spielberg e l'intraprendenza fugace di una rilettura che stravolge gli esisti di un racconto senza raccoglierne i frutti sperati, sia in termini di emozioni, sia sotto l'aspetto meramente ludico e di intrattenimento.
Peccato. Perché Wright con "
Hanna" era riuscito con efficacia a trasformare un thriller di fantascienza in una fiaba dal forte approccio semiotico e narratologico. Qua, pur entrando in un territorio manifestatamente fiabesco, il regista britannico perde la sua verve creativa, limitandosi a dirigere il più classico dei film su commissione. Operazione non facile, soprattutto se gli attori sono completamente fuori ruolo, come nel caso di un compassionevole Hugh Jackman.
15/11/2015