A distanza di dieci anni dal suo ultimo lavoro, il maestro del brivido torna in sala con "Occhiali neri", un thriller dalle tinte horror che segue le vicende di Diana (Ilenia Pastorelli), una prostituta perseguitata da un pericoloso assassino e divenuta cieca a seguito di un incidente stradale.
L'utilizzo della cecità per amplificare la tensione, rendendo invisibile al protagonista ciò che invece viene mostrato allo spettatore, non è certo una novità nel cinema horror. Basti pensare ad alcune pellicole del passato come "Gli occhi della notte" o "Terrore cieco", ma anche ad alcune opere contemporanee come il recente "Man in the Dark".
E tuttavia, contestualizzato all'interno della filmografia argentiana, questo elemento acquista un valore particolare, poiché la riflessione sul visibile è sempre stata centrale nell'opera del regista di "Profondo Rosso" e di "Suspiria".
A ben vedere, infatti, il cinema di Argento, è da sempre centrato sulla aisthesis: è un cinema profondamente estetico, nel quale la sensazione conta più di qualsiasi elemento razionale; un cinema dove la coerenza e la solidità della trama vengono spesso sacrificate a favore dell'impatto emotivo suscitato tramite l'immagine e il suono. Tale scelta scardina le regole del giallo, la cui struttura, tradizionalmente dominata dal raziocinio e da una stretta logica, diventa con Argento un campo aperto, dove ciò che più conta non è il "come" né il "perché", ma l'emozione e le percezioni dello spettatore (e dei personaggi).
La menomazione della sensibilità, e in particolare la privazione della vista (senso cinematografico per eccellenza), acquista quindi un significato più profondo.
L'impossibilità di vedere è una caratteristica tipica dei personaggi dei film di Argento, che non ha però a che fare quasi mai con la patologia fisica della cecità: cogliendo la lezione di Antonioni e di "Blow-up" e riflettendo sulla natura stessa del cinema, egli tratta sin dai suoi primi lavori il vedere come una facoltà ingannatrice e/o impossibile. Spesso il particolare fondamentale, il nodo che scioglie la matassa e che rivela il delitto, sfugge proprio a chi lo può guardare, ma è incapace di vederlo ("L'uccello dalle piume di cristallo"; "Profondo rosso"; "Tenebre"...). Mentre la possibilità di cogliere il mistero è riservata a chi è privo di vista (il pianista cieco di "Suspiria", l'enigmista de "Il gatto a nove code").
A ciò si unisce un utilizzo compulsivo di quegli strumenti stilistici che sottolineano l'azione del guardare: le numerose soggettive dell'assassino; i primissimi piani sugli sguardi e sulle pupille dilatate dalla pulsione di morte.
Come per il filosofo francese Jacques Derrida, anche per il maestro romano, il visibile è sempre un vedere senza vedere nulla. La verità, invece, è un qualcosa che si nasconde tra gli interstizi del visibile, al di là del significato letterale dell'immagine, lì dove l'occhio (ovvero la ragione) non arriva, e dove si apre il terreno a nuove modalità di conoscenza.
In "Occhiali neri" la riflessione sulla cecità è portata su un nuovo livello: qui infatti la menomazione è totale e getta nell'oscurità, reale e metaforica, la protagonista, che già nella sequenza d'apertura si brucia lo sguardo assistendo senza protezioni a un'eclissi di sole: simbolo della vittoria delle tenebre sulla luce, che gli antichi consideravano presagio oscuro, previsione di morte. Diana non vive la privazione della vista come una possibilità per sviluppare altri sensi, capacità nascoste, presentimenti, divinazioni. Il suo diventa un letterale brancolare nel buio, un continuo incespicare, sottolineato nelle scene boschive della seconda parte del film, dove l'ambientazione romana cede il passo a un non-luogo metaforico, simbolo propperiano di pericolo e di minaccia.
Al più, la cecità è qui avvertita come conseguenza di una colpa freudiana, sessuale, edipica, richiamata dalla domestica di Diana subito dopo l'incidente, o dai serpenti che avvinghiano i protagonisti durante la fuga, suggerendo simbologie falliche.
La salvezza non si nasconde dunque in una diversa attitudine allo sguardo, ma nei rapporti con l'Altro: la via di fuga arriva dall'unione delle forze tra i tre "esclusi": la prostituta cieca, il suo cane guida e l'orfano straniero.
Così, "Occhiali neri" sembra aprire possibilità nuove al topos della cecità, ma ne dà al contempo una lettura più scontata che, a parere di chi scrive, toglie mordente all'opera, sostituendo i buoni sentimenti allo shock emotivo e cognitivo.
Un elemento di particolare interesse è costituito poi dalla colonna sonora e soprattutto dal montaggio sonoro - questo sì tipicamente argentiano - che trasforma la musica in vera e propria istanza narrante, inscindibile dall'immagine. A solo titolo d'esempio si può citare la sequenza del primo omicidio, dove gli elementi splatter estremamente espliciti (attenzione agli stomaci deboli) sono accompagnati dalla musica elettronica di Arnaud Rebotini, capace di creare quell'ipnotismo horror che aveva reso così grandi alcune sequenze dei capolavori del regista.
Sono molti gli elementi e i temi del cinema argentiano che ritornano in questa ultima opera, la quale rappresenta sicuramente un passo avanti (o meglio un ritorno alle origini) rispetto agli ultimi lavori, meno riusciti, come "Giallo" o "Dracula 3D". I fan di Argento, dunque, non potranno che accogliere positivamente il ritorno del maestro ad alcuni dei suoi tratti caratteristici. È tuttavia innegabile che, in sé e per sé, decontestualizzandolo dal resto della filmografia argentiana, "Occhiali neri" risulti essere un film modesto, con molte zone d'ombra, dove i difetti spesso sovrastano i pregi e al quale è difficile assegnare un giudizio totalmente positivo.
Ma nonostante i difetti del film siano evidenti e impossibili da ignorare, nel corso della visione si coglie, come uno scintillio di luce nell'oscurità della notte, la bellezza dello sguardo argentiano, ancora capace di stupirci e di regalarci inquadrature uniche (dai primissimi piani claustrofobici, ai campi lunghi che amplificano il senso di smarrimento, dalle soggettive ai plongée che sottolineano il senso di oppressione e di schiacciamento) e di ricordarci l'importanza del suo cinema, oggi come allora.
cast:
Ilenia Pastorelli, Asia Argento, Xinyu Zhang, Maria Rosaria Russo, Andrea Gherpelli, Guglielmo Favilla
regia:
Dario Argento
distribuzione:
Vision Distribution
durata:
90'
produzione:
Urania Pictures, Getaway Films, Rai Cinema
sceneggiatura:
Dario Argento, Franco Ferrini
fotografia:
Matteo Cocco
montaggio:
Flora Volpelière
musiche:
Arnaud Rebotini