Il messicano Carlos Reygadas è uno di quei registi da cui non si sa mai cosa aspettarsi. Caratteristica di un cinema libero da regole, che non siano quelle della propria ispirazione, la mancanza di freni inibitori talvolta può rivelarsi un boomerang per le ambizioni del regista, costretto a fare i conti con le reazioni non sempre clementi dello spettatore di fronte alle astrazioni di un film come
"Post Tenebras Lux", peraltro qui molto apprezzato. Rispetto al lungometraggio vincitore della miglior regia al festival di Cannes del 2012, il nuovo lavoro di Reygadas conferma l'imprevedibilità creativa del suo autore, il quale, a differenza della scorsa volta, si dimostra desideroso di dialogare con lo spettatore nella scelta di una narrazione capace di rendersi indipendente dallo strapotere della componente visiva. "Nuestro tiempo", dunque, è innanzitutto la storia della disaffezione matrimoniale di Juan ed Ester, genitori di figli ancora piccoli e conduttori di un allevamento di tori ubicato subito fuori Città del Messico. Rispetto all'armonia dell'ambiente circostante e alla maestosità del paesaggio naturale, il loro amore è, per dirla con le parole di Juan "forte e imperfetto", soprattutto quando si tratta di fare i conti con il proposito di lasciare all'altro la libertà di vivere una relazione aperta. Come succede ai due coniugi quando la donna confessa al marito di vedersi con un addestratore di cavalli americano.
Facendo di questo momento - peraltro reso con toni tutt'altro che esasperati - il punto di non ritorno della vicenda in questione, potremmo dire che "Nuestro tiempo" è un film costruito su alcune grandi contrapposizioni. A parte quella a cui abbiamo accennato nel precedente paragrafo, c'è l'altra, derivata dal conflitto tra città e campagna, intesa anche come antitesi tra progresso e conservazione. Gli appassionati più attenti ricorderanno che "Post Tenebras Lux" affrontava già tale conflitto, raccontando le vicissitudini di una coppia trasferitasi da poco in una zona rurale: anche in quel caso la crisi del
menage prevedeva, tra le diverse tappe, l'esperienza di una sessualità condivisa con terze persone e vissuta al di fuori dei confini famigliari, in una visione generale in cui i mali della civiltà, rappresentati dalla quotidianità metropolitana, non riuscivano a essere compensati dal vantaggio di viverne lontano. Con il suo nuovo film Reygadas sembra voler riprendere questo discorso, concentrandosi sugli opposti che dividono l'uomo dalla donna. Supportato da una intellettualità (essendo anche un poeta di successo) che gli consente di mascherare i suoi sentimenti, sulle prime, Juan sembra disposto a sostenere la moglie nel viaggio alla scoperta di se stessa e della propria sessualità mentre, in un secondo momento, si rivela manipolatorio nell'architettare una forma più sottile di controllo, volto a soddisfare il desiderio di possesso del corpo femminile.
Realtà inconciliabili che Reygadas filma in costante dialettica con il mondo circostante: dapprima, quando ancora la relazione sembra funzionare, aprendosi allo sconfinato territorio della prateria messicana, dalla quale però non mancano di emergere presagi di ciò che verrà; ci riferiamo, nello specifico, alle immagini dei passi che si impantano nella fanghiglia del torrente e, sopratutto, alla spaventosa carica del toro che rischia di uccidere i malcapitati contadini; successivamente, allorché il disagio diventa conclamato, sostituendo lo spazio naturale con i claustrofobici interni della villa, ripresi con angolazioni che li rendono metafora della prigione in cui precipitano i protagonisti. Così facendo, il film risulta - anche sotto il profilo figurativo - spezzato in due parti: la prima, illuminata dalla luce del sole e attraversata da sprazzi di vitalismo giovanile, tipico di chi, come il figlio di Juan e i suoi amici, vuole ancora tutto e subito, l'altra, immersa nell'oscurità (anche fisica) di un mondo decadente e corrotto, frequentato da soli adulti.
Organizzato su più livelli narrativi, grazie alla voce fuori campo della figlioletta di Juan ed Ester chiamata, di tanto in tanto, a commentare il farsi degli eventi, e reso più coinvolgente dall'adesione autobiografica alla vicenda, data dal fatto che, oltre a Reygadas nella parte di Juan, a interpretare gli altri personaggi sono la moglie e i figli del regista, "Nuestro tiempo" è sorretto da un'idea di cinema potente che si muove tra cielo e terra e che interessa allo stesso tempo la carne e lo spirito degli uomini. Impossibile dunque che non sia "forte e imperfetto" come l'amore che racconta.