"Post Tenebras Lux" di Carlos Reygadas è portatore di un paradosso apparentemente insuperabile che consiste nell'opporsi a qualsiasi tentativo di riducibilità. Una tendenza non certo nuova per gli
habituè del regista messicano, da sempre frequentatore di storie che sembrano nascondersi dietro le suggestioni di un'impalcatura visiva tanto bella quanto misteriosa. La rarefazione di senso attuata con metodica sistematicità non accenna a diminuire nel suo ultimo lavoro, ambientato nella natura bucolica dell'entroterra messicano dove prendono forma le vicissitudini esistenziali di una famiglia borghese in fuga dalla civiltà, e quelle molto più pratiche degli abitanti della comunità locale, costretti a sopravvivere ricorrendo ad una vita d'espedienti. Una convivenza apparentemente riuscita ma in realtà chiamata a fare i conti con pulsioni di segno opposto che vedono le ragioni del conflitto nel confronto tra le frustrazioni di un menage matrimoniale arrivato al capolinea, e la disperazione di coloro che non hanno più nulla da perdere.
Annunciata da una sequenza iniziale fortemente simbolica, con il contrasto tra il declinare del giorno ed il latrare dei cani a far temere per le sorti della bimba abbandonata nella landa desolata e fangosa, l'apocalisse di Reygadas non perde tempo a rivelare la sua peculiarità metafisica; dapprima esibita esplicitamente attraverso l'inserimento di un'animazione stilizzata che cita "L'esorcista" di William Friedkin (1973) mostrandoci il diavolo "al lavoro", con la casetta degli attrezzi al posto della valigetta utilizzata da padre Merrin, ad accentuare l'opera di corruzione morale istillata nel cuore degli uomini; e poi suggerendola con la scelta di filmare la storia in soggettiva, con lo sguardo progressivamente svincolato dalla presenza in scena dei personaggi ed attribuito ad un'entità "altra" - il diavolo stesso, oppure ilregista, vero e proprio demiurgo della vicenda -, pronta a testimoniare il corso degli eventi, e probabilmente ad influenzarli. Una connotazione soprannaturale che agisce in due direzioni: la prima prettamente contenutistica, conferisce allo specifico della storia caratteristiche d'universalità individuabili nei riferimenti ad una condizione di schiavitù che è propria della condizione umana, ed a cui il film allude descrivendo la dipendenza fisica e psicologica del protagonista, vittima della pornografia e di una forte depressione; e successivamente nell'inserto che testimonia di altrettanti uomini chiamati a parlare delle proprie disfunzioni (alcolismo, gioco d'azzardo etc.) nel corso di una terapia di gruppo. La seconda invece, squisitamente cinematografica, permette a Reygadas di giustificare una narrazione anticonvenzionale, scandita da un tempo cronologico che si affida all'alternarsi del giorno e della notte ed ai cambiamenti metereologici per costruire una successione coerente delle singole sequenze, con il montaggio che sembra rimandare alla logica della mente onniscente, individuata appunto dall'occhio della telecamera,
deus ex machina dell'intera vicenda.
In questo modo la violenza che ad un certo punto prende il sopravvento sugli ideali di convivenza e di fraternità - come nell'opera precedente di Reygadas ("Battaglia nel cielo"2005), destinati a fallire in modo tragico - ma anche il clima di costante afflizione che annichilisce la volontà dei personaggi smettono di essere il referto sociologico di una società educata a contrapporsi ed a competere - la divergenza dei punti di vista tra i cugini che partecipano alla riunione di famiglia oppure la partita di Rugby con il capitano della squadra che richiama i compagni a dare il tutto per tutto per sopraffare l'avversario - ma diventano le coordinate di un "paradiso perduto" che "Post Tenebras Lux" celebra all'ennesima potenza. Trascendendo i dati del reale con una messa in scena di suoni e di immagini spiazzante e sorprendente Reygadas ci conduce nelle viscere dell'esistenza umana attraverso un'esperienza sensoriale ed immaginifica. E se è vero che non tutto torna, e qualche passaggio appare un pò forzato, rimane intatta la purezza di un cinema primordiale e visionario. Il premio alla regia nell'edizione del festival di Cannes 2012 appare più che meritato.
20/05/2013