"Nessuno si salva da solo" era romanzo secco, crudele, spietato: amaro nel suo incedere plumbeo, inacidito e privo di speranze. Curiosamente non conciliante e non consolatorio. Intessuto di frasi così: "il sogno di tutta la gente che conoscevano era di anelare a una festa continua sulle macerie di tutto. L'egoismo come unica borsa a tracolla".
Durante la cena che chiude la storia in una serie di flashback, Delia incita Gaetano a pronunciare anche lui le parole "non ti amo più". Nel romanzo, la scena è risolta con questa secchezza: "Dillo anche tu." "Io non lo posso dire." "Dillo." "Non ti amo più, Delia." Nella sceneggiatura, quel "non lo posso dire" diviene una pietosa dichiarazione d'amore ("Ti amo ancora: non ce la faccio a dirlo", e quando poi lo dice, lo fa abbassando il tono, di malavoglia). Questo scarto di tono fra romanzo e sceneggiatura contraddistingue il film, e qui sta l'origine del fallimento della nuova collaborazione Castellitto-Mazzantini.
I film che Castellitto ha tratto dai romanzi della moglie sono caratterizzati dall'accostamento fra un soggetto alla fin fine consolatorio (carezzare il pubblico per il verso del pelo è da anni il principale, tragico difetto in Italia dei prodotti culturali di massa, film e romanzi) e una regia effervescente, quasi visionaria, seppure eccessiva nella continua ricerca di urlate scene madri. Ora, proprio nel trasporre il romanzo più interessante perché meno consolatorio della Mazzantini, sia le scelte di sceneggiatura sia quelle di regia appaiono sbagliate. Vediamo in che modo.
Le scelte di sceneggiatura, dettate probabilmente dal timore di alienarsi il successo di massa, sono tutte in controtendenza rispetto al romanzo. Se il tasso di ridicolo si alza pericolosamente nella sceneggiata familiare su Mike Tyson, molti dialoghi sono spesso imbarazzanti: il film deraglia man mano che procede, verso un tracollo finale da far cadere le braccia. Si passa da un'incongrua capriola a una preghiera in ginocchio di fronte alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, in odor di "Cuore sacro".
Particolarmente incomprensibile la caratterizzazione dei personaggi: per tutta la durata della cena, il contrasto fra il terribile risentimento di lei e la serafica ragionevolezza di lui è accentuato dai flashback sulla loro storia, che portano a farsi l'idea che, se non ha funzionato, la responsabilità sia stata soprattutto di lei. Non è così ma si fatica a comprenderlo, dacché - se Gaetano è ritratto in una normalissima medietà piccolo borghese priva di stonature - Delia, oltre a una madre inquietante, ha un passato da anoressica, un carattere problematico ed è assediata da continue idiosincrasie.
Le precedenti trasposizioni di Castellitto mostravano in sede di regia idee che giustificavano almeno in parte le sue velleità autoriali. Invece "Nessuno si salva da solo" è girato in modo svogliato, con scelte di regia spesso banali (la macchina a mano forsennatamente indiavolata per sottolineare il tasso alcolico di una festa tra amici) o che latitano completamente, appiattendo il film su uno standard televisivo, affidato soprattutto ai primi piani di Jasmine Trinca e Riccardo Scamarcio. E' arduo comprendere la necessità del film, fuor che per velleità di cassa o narcisismo pseudoartistico di coppia. Fra l'altro dev'esser stato realizzato di fretta: la sequenza ambientata all'auditorium Parco della Musica è stata girata in occasione del festival del cinema di Roma del 2014 [1], neanche cinque mesi prima dell'uscita in sala.
Non si salvano nemmeno le scelte musicali, dettate dal desiderio di cattivarsi le simpatie del pubblico agganciandole alle catarsi di un immaginario musicale che però stride con il racconto (inappropriata la scelta dei brani, da Asaf Avidan a Lucio Dalla).
Castellitto replica poi il vezzo de "La bellezza del somaro", dove aveva affidato un ruolo "positivo" a un cantautore d'antan, Enzo Jannacci. In questo caso, il compito tocca a Roberto Vecchioni, in un cameo che lo vede in coppia con la grande Angela Molina. Ma è infelice l'idea di affidare a Vecchioni la battuta "nessuno si salva da solo": vanifica l'ambiguità del titolo, il cui retrogusto pessimista e sconsolato affoga in una fastidiosa e posticcia melensaggine.
[1] Si notano i manifesti dei film "Trash" e "Soap opera". Infelice inquadratura: il significato letterale dei due titoli si ritorce contro il film di Castellitto.
cast:
Jasmine Trinca, Riccardo Scamarcio, Anna Galiena, Angela Molina, Roberto Vecchioni
regia:
Sergio Castellitto
distribuzione:
Universal
durata:
100'
produzione:
Wildside, Indiana Production Company, Rai Cinema, Alien Produzioni
sceneggiatura:
Margaret Mazzantini
fotografia:
Gianfilippo Corticelli
scenografie:
Luca Merlini
montaggio:
Chiara Vullo
costumi:
Patrizia Chierconi
musiche:
Arturo Annecchino