Ambientato sulle Alpi in un remoto Medioevo, il film racconta di Agostino (Andrea Sartoretti) e della sua poverissima famiglia che si ostina a restare nel ridotto gruppo di case a ridosso di un'imponente montagna, affianco a un piccolo cimitero. La loro sussistenza, che si fonda sulla coltivazione della terra, appare sempre più incerta, minacciata com'è dalla penuria del raccolto e dalle superstizioni del villaggio a valle, cui Agostino tenta di vendere i prodotti dell'orto, ma i cui abitanti lo evitano, credendo di intravedere nella sua sventura i segni di una maledizione. L'ombra della colossale montagna è causa della povertà del raccolto, e Agostino vede nella montagna la causa di ogni suo male. Contro di essa, dunque, si deciderà a scagliare la sua furia.
"Monte" è stato girato in Friuli e in Trentino, a ridosso delle dolomiti (parte del set è stata costruita a 2.000 metri alle pendici del Latemar). Si tratta della prima produzione italiana di Amir Naderi, che torna alla regia a cinque anni da "Cut". Prima di approdare in Giappone per "Cut", e adesso in Italia, nella carriera del regista nativo di Abadan si distinguono due periodi: quello dei film girati in Iran a partire dai primi anni 70, sino ad "Acqua, vento, sabbia" (1989), e quello statunitense, cui appartengono i film girati a New York, sua città d'elezione (la c.d. trilogia di Manhattan e "Sound Barrier" del 2005, uno dei vertici della sua filmografia), e alla periferia di Las Vegas, nel deserto del Nevada, dove nel 2005 Naderi ha ambientato "Vegas: Based on a True Story", film con cui il cineasta aveva fatto ritorno a quella cornice naturale - il deserto - in cui aveva ambientato molti film del periodo iraniano. Il deserto e la metropoli: sono queste le due ambientazioni privilegiate del regista. Una contrapposizione archetipica fra un ambiente cui i protagonisti dei suoi film sono intimamente legati, nonostante la sua ostilità (il deserto), e un ambiente apparentemente accogliente (la metropoli) dove invece l'individuo si trova smarrito come in un labirinto. Una contrapposizione che troviamo riproposta in "Monte".
La sostanza di "Monte", come accade in quasi tutti i film di Naderi, si svela con prepotenza nel finale, quando la folle sfida fra l'uomo e la montagna culmina in una notevole sequenza: terminata la visione, occorre riconoscere la capacità di Naderi di ricompensare lo spettatore dopo averne messo a dura prova la pazienza, con una catarsi per immagini che è impossibile restituire a parole.
Per esplicita ammissione del regista, i suoi protagonisti sono da sempre animati dall'ossessione. Nei miei film spingo sempre i miei personaggi e le loro ossessioni al limite. Li metto nella condizione di dover fare qualcosa, qualcosa di impossibile, per cambiare le cose. Li metto alla prova per vedere come sopravvivono (dal pressbook del film). L'ossessione è linfa vitale. Un uomo, collocato in un contesto avverso, potrà spuntarla tramite una scelta paradossale, incomprensibile al senso comune. È il motivo conduttore di tutta la filmografia di Naderi. Nei suoi eroi si cela l'autore stesso, in una sorta di autobiografia immaginaria, sin dai giovani protagonisti di "Harmonica" (1973) e "The Runner" (1985). Del resto è Naderi stesso ad affermare, subito dopo le parole sopra riportate: allo stesso tempo metto alla prova me stesso come filmmaker, in ogni momento, su ogni progetto. Esponente di primo piano (insieme al compianto Abbas Kiarostami) della nuova onda del cinema iraniano emersa negli anni 70, Naderi ha fatto della propria indipendenza una intransigente cifra stilistica: il suo percorso autoriale è un tour de force alla stessa stregua delle vicende dei suoi personaggi, sospese su un crinale dove per realizzare se stessi sembra indispensabile rischiare il tracollo, in una sfida nella quale è obbligatorio giocarsi tutto [1].
È piuttosto curioso come la propensione di Naderi per il rilancio costante non contrasti con la tendenza dei suoi film ad assomigliarsi molto nella struttura narrativa, tesa quasi sempre, con ostinata coerenza, verso un finale spasmodico in cui esplodono i nodi e le tensioni accumulati.
Il finale di "Monte" è un'epifania sorprendente, capace di compiere una trasfigurazione. Alla lettera: guardate che cosa riesce a svelare in pochi secondi l'ultima sequenza, anche grazie al contributo di Roberto Cimatti alla fotografia. È lo sbocco dell'estenuante pre-finale, una sequenza prossima alla mezz'ora in cui la medesima azione viene ripetuta senza tregua mentre al protagonista cresce la barba e sanguinano le mani. Proprio la maniacalità con cui Naderi spinge all'eccesso quest'azione priva di buonsenso riesce a conferire afflato epico a ciò che diversamente sarebbe apparso grottesco.
Ribadire da sempre le medesime ossessioni, con poche variazioni, comporta tuttavia il rischio di non raggiungere sempre risultati pieni e compiuti, in grado di tener testa ai vertici raggiunti in passato. Il segmento conclusivo di "Monte" non riscatta completamente alcuni limiti che gravano sulla prima parte dell'opera, in particolar modo sulla sezione centrale. Per quanto la ricostruzione "d'epoca" appaia accettabile, non è sicuramente essa a stare a cuore Naderi, con la conseguenza però che la regia appare a tratti convenzionale e poco personale. Quel che gli preme - si vede bene - si concentra tutto nel finale.
Inoltre, per quanto si tratti di un problema cui è lo spettatore italiano a risultare forse eccessivamente sensibile, occorre dire che può essere fastidioso ascoltare dialoghi in italiano corrente in un contesto tanto lontano nel tempo. Una pecca che, per quanto secondaria, fa sì che i dialoghi della prima parte (l'ultima è praticamente muta) si abbassino sino a rasentare pericolosamente i livelli di una non eccelsa fiction televisiva della Rai.
[1] Proprio l'inclinazione al continuo reinventarsi, ricominciare da zero accettando sfide in contesti nuovi, ha relegato Naderi in una nicchia tanto ristretta da non consentirgli di assurgere agli onori più prestigiosi (assenti, nella sua filmografia, riconoscimenti importanti nei maggiori festival internazionali). Nonostante avrebbe a più riprese meritato un'attenzione maggiore, Naderi si è del resto involontariamente precluso questa via quando, già alla fine degli anni 80, decise di trasmigrare a New York, alla vigilia degli anni 90, il "decennio d'oro" del cinema iraniano (decennio in cui la cinematografia persiana iniziò ad essere scoperta e premiata in Europa, pur avendo già espresso fior di capolavori nei vent'anni precedenti, con Naderi e Kiarostami quali massimi esponenti).
cast:
Andrea Sartoretti, Claudia Potenza, Zaccaria Zanghellini, Anna Bonaiuto
regia:
Amir Naderi
distribuzione:
Asap Cinema Network
durata:
105'
produzione:
Ciné-Sud Promotion, Cineric, Citrullo International, Zivago Media
sceneggiatura:
Amir Naderi, Donatello Fumarola, Maryam Najafi
fotografia:
Roberto Cimatti
montaggio:
Amir Naderi