La Nasa, dopo intense ricerche, riesce a dimostrare la presenza di altre forme di vita nell'universo. Peccato che, nel delicato trasporto di alcune uova di queste creature, non vada tutto come previsto. Sei anni dopo, una vasta area del Texas è infestata da enormi polipi alieni che seminano morte e distruzione. Un giovane reporter, inviato da una testata giornalistica per documentare l'accaduto, deve salvare la figlia del capo che si trova lì chissà per quale ragione.
Anche dopo una veloce lettura della sinossi di "Monsters", non è difficile intuire che il plot è largamente abusato nonché abbastanza zoppicante per la totale mancanza di plausibili fondamenta narrative. Inoltre, il film, in atmosfere, presupposti e circostanze, ha forti debiti nei confronti di tanti cult fantascientifici, da "Jurassic Park" fino ai più recenti "
Cloverfield" e "
District 9". Non parliamo, poi, della sceneggiatura che sfoggia dialoghi di ingenuità e fiacchezza imbarazzanti (già solo il titolo del film è innegabilmente orribile) e di un finale originale, ma al limite del ridicolo.
A parte tutti questi macroscopici difetti, sembrerà strano ma "Monsters" non dispiace. Anzi soprattutto dopo il primo quarto d'ora, riesce a decollare e a mantenere una buona tenuta fino alla fine. Se però il film regge, il merito è da ascrivere integralmente al regista. L'inglese Gareth Edwards (qui anche sceneggiatore, scenografo e direttore della fotografia), alla sua prima prova cinematografica, riesce a gestire con notevole abilità e coraggio un intreccio che offre davvero poco. L'invasione aliena, topos per eccellenza del monster movie, non sfocia in una sequela di spettacolari esplosioni, inseguimenti e simili disastri, perché ciò che interessa al regista non è la reiterazione amplificata dell'evento su larga scala, ma la sue conseguenze psicologiche ed emotive. Edwards, infatti, si concentra solo ed esclusivamente sui due protagonisti e sull'inevitabile scontro tra l'archetipo sociopolitico americano in cui si muovevano in passato e l'assurda e drammatica realtà con cui entrano bruscamente in contatto. Lo spettatore, però, riesce a conoscere e capire i due personaggi non attraverso la verbale esplicitazione dei loro pensieri (anche perché la qualità dello script è pessima), ma per mezzo delle sole immagini che veicolano intelligentemente le percezioni e le atmosfere fantascientifiche del contesto filmico. Questo modus operandi si riflette in due ambiti d'analisi, suscitando due osservazioni abbastanza importanti: in primo luogo dimostra che per fare film dell'orrore fortemente empatici e -prerequisito odioso, ma costantemente richiesto- "realistici" non c'è bisogno di fingere uno snuff-movie come in tanti, tristi mokumentary girati dopo il furbo "
The Blair Witch Project"; in secundis, evidenzia quanto un ritmo naturale e regolare, seppur costantemente teso, sia molto più efficace dello svolgersi fibrillatorio degli horror mainstream.
Se, invero, questo fertile humus stilistico fosse stato supportato da una base scenica e narrativa più solida, il risultato sarebbe stato potenzialmente davvero notevole.
Prevedibilmente, tolti questi apprezzabili accorgimenti registici, il resto funziona poco o per niente e anche le implicazioni politiche ed ecologiste non dicono nulla di nuovo.
Una cosa però è certa: Gareth Edwards va tenuto d'occhio.
17/12/2011