Regista da sempre fuori dagli schemi, il cileno Raul Ruiz alle soglie dei settanta anni ci regala il suo capodopera, un'imponente (dura più di quattro ore) trasposizione del libro di Camilo Castelo Branco, il più importante scrittore portoghese ottocentesco (i cui lavori hanno spesso ispirato anche il maestro Manoel De Oliveira), presentata lo scorso anno con successo a San Sebastian e altri festival, acclamata in Portogallo, dove praticamente ha fatto incetta di tutti i premi a disposizione.
Prodotta dal sempre rimarchevole Paulo Branco, quest'opera, di cui esiste anche una versione televisiva (sei puntate di un'ora ciascuna che farebbero impallidire al confronto tutte le fiction prodotte in Italia), racchiude tutte le caratteristiche dell'autore Ruiz, campione di un cinema caleidoscopico e labirintico che seduce grazie alla forza delle immagini e all'efficacia delle atmosfere evocate. Un po' Recherche (il cinema di Ruiz è profondamente proustiano e non a caso il suo “Il Tempo Ritrovato” del 1999 resta il più apprezzato fra gli adattamenti del capolavoro letterario novecentesco), un po' Manoscritto trovato a Saragozza, questo feuilleton raffinato trasporta lo spettatore in una storia (ma sarebbe meglio dire in tante storie) che ha tutti gli ingredienti della letteratura d'appendice: amori contrastati, opposizione ricchi-poveri, fanciulle disperate, orfani infelici, padri e mariti spietati, gentiluomini misteriosi, avventurieri protettivi e giovani donne che si reinventano come “angeli della vendetta”.
A fare la differenza rispetto ad altri “sceneggiati” tradizionali è la struttura a scatole cinesi, con la narrazione principale spesso interrotta per dare spazio a vicende secondarie e la natura sfuggente dei personaggi che nel corso della storia cambiano identità. Qualcuno ha imputato questa natura confusionaria dell'opera ai tagli rispetto alla versione per il piccolo schermo, ma il cinema di Ruiz (che durante le riprese ha avuto anche gravi problemi di salute dai quali nel frattempo si è fortunatamente ristabilito) non ha mai prediletto la linearità e per fortuna non ha perso tale peculiarità neanche per questa avventura in parte anche televisiva; inoltre bisogna ricordare che un certo tipo di letteratura si faceva forte di trame intricatissime che inchiodavano il lettore e probabilmente l'adattamento curato da Carlos Saboga è il modo migliore per dare una forma visiva a questo tipo di storie.
Al centro della trama (ma sarebbe meglio dire delle trame) c'è un ragazzo orfano, Pedro da Silva (Joao Luiz Arrais), che vive in un collegio. Di lui si prende cura Padre Dinis (il carismatico Adriano Luz) un uomo saggio, dal quale Pedro viene a sapere di essere il figlio illegittimo di una nobildonna, la Contessa di Santa Barbara (l'eccellente Maria Joao Bastos, che con la sua metamorfosi da ragazza innamorata piena di speranze a monaca delusa dal mondo, passando per moglie maltrattata, ci fa rimpiangere di non conoscere meglio gli interpreti del cinema lusitano). Per Pedro la gioia di avere ritrovato la mamma è subito sciupata dalla scoperta che la donna vive praticamente reclusa nel suo palazzo, vittima di un marito sadico che la contessa è stata costretta a sposare dal padre, fermamente contrario al fidanzamento con un giovane di nobili natali ma scarse finanze (Pedro è frutto proprio di quest'amore clandestino).
E questo non è che l'inizio, dato che man mano che il racconto prosegue si aggiungono altre storie e diverse figure fanno capolino con nuovi nomi e nuove funzioni, come ad esempio il sicario incaricato di uccidere il protagonista ancora in fasce che nella seconda parte del film riappare nei panni del fascinoso e spregiudicato avventuriero Alberto de Magalhaes (la star televisiva Ricardo Pereira), protettore proprio di Pedro; oppure l'aristocratico nonno che nel prefinale si ripresenta al nipote come un mendicante non vedente.
In questa magmatica opera dove i vari personaggi si spostano fra Portogallo, Francia, Italia, Brasile e Africa coloniale (e attraverso i numerosi flashback oltre che di località ci si sposta anche di periodo), sempre alle prese con problematiche legate alle convenzioni sociali, emerge una chiara e ipocrita disparità di trattamento fra uomini e donne: mentre ai primi è concesso tutto, persino vivere nella promiscuità, le seconde devono subire la mannaia del moralismo. Difficoltà di questo tipo hanno anche le nuove muse del cinema d'autore francese, Léa Seydoux e Clotilde Hesme: la prima interpreta un amore giovanile di Padre Dinis, la seconda invece una bella aristocratica sedotta e abbandonata da Alberto che a sua volta seduce un cresciuto Pedro (José Afonso Pimentel), cercando infruttuosamente di convincerlo ad uccidere il suo protettore.
Le vicende dei protagonisti si consumano sotto l'occhio attento dei servitori che non smettono mai di origliare e di fare capolino dietro una porta o una finestra. Le loro presenze così insistite possono essere viste come la raffigurazione metaforica del pubblico, ed è proprio un teatro l'immagine simbolo del film o, per meglio dire, un teatrino di figurine, il balocco da cui Pedro non si separa mai e che porterà sempre con sé nei suoi viaggi fino alla fine; ricordo di un'infanzia solitaria ma anche prova evidente dell'istanza autoriale di cui è investito il protagonista, vero e proprio deus ex machina della vicenda, come si capisce dal finale del film, che non a caso richiama quello del capolavoro di Sergio Leone “C'era una volta in America”, altro magnifico film proustiano.
Le performance stilizzate degli attori si addicono perfettamente ai personaggi/burattini manovrati dall'immaginazione di Pedro, mentre la squisita ricostruzione d'epoca creata dalla scenografa Isabel Branco e la fotografia avvolgente di Andre Szankowski contribuiscono a ricreare il miglior palcoscenico possibile e a rendere ancora più straordinario il risultato finale.
cast:
Adriano Luz, Melvil Poupaud, Joao Babptista, Joana de Verona, Albano Jeronimo, Léa Seydoux, Alfonso Pimentel, Clotilde Hesme, Ricardo Pereira, Maria João Bastos, Malik Zidi
regia:
Raoul Ruiz
titolo originale:
Mistérios de Lisboa
durata:
266'
produzione:
Paulo Branco
sceneggiatura:
Carlos Saboga
fotografia:
André Szankowski
scenografie:
Isabel Branco
montaggio:
Valeria Sarmiento, Carlos Madaleno
musiche:
Jorge Arriagada, Luis De Freitas Branco