1963
Durante il 1963 accadono tre eventi di particolare rilievo per il cinema giapponese. In quell'anno Yasujiro Ozu, uno dei maestri della Settima arte, nel giorno del suo sessantesimo compleanno, chiude il cerchio della propria vita, a causa di un male incurabile. Una delle attrici più celebri e amate della propria epoca, Setsuko Hara, lascia la propria carriera senza dare spiegazioni né annunci e alcuni ipotizzano sia avvenuto proprio a seguito della scomparsa del regista, al quale era molto legata. Infine, nel 1963 e, più precisamente, il 12 ottobre, nasce Satoshi Kon che trent'anni dopo diventerà protégé di Katsuhiro Otomo e una delle più brillanti promesse dell'animazione giapponese. Se abbiamo citato Ozu per arrivare alla Hara, quest'ultima ci serve quale calzante esempio di diva di prima grandezza che, ex abrupto, decide di abbandonare il cinema ritirandosi a vita privata e conservando gelosamente il mistero intorno alla sua scelta. È da qui che probabilmente proviene l'ispirazione di Kon nella scrittura e nella realizzazione del suo secondo lungometraggio, lo chef d'œuvre "Millennium Actress".
Memorie
Nel 1995 Kon collabora con Otomo, sceneggiando "Magnetic Rose", il primo dei tre episodi che compongono il film collettivo "Memories". "Magnetic Rose" contiene le ossessioni cardinali del regista, le quali verranno esplorate e approfondite nel prosieguo della sua carriera. Innanzitutto, nel mondo autoriale di Kon, è dirimente l'impossibilità di distinguere il reale dall'irreale, il concreto dall'allucinazione onirica; in secondo istanza, protagonisti di "Magnetic Rose" sono i ricordi della cantante lirica Eva Friedel che la stazione spaziale proietta disorientando e avvinghiando i due ingegneri che stavano lì facendo un sopralluogo. La memoria della donna effettua una manipolazione dello spazio e del tempo, così come la crisi identitaria di Mima, la idol protagonista di "Perfect Blue", elude il principio di realtà confondendo i piani tra percezione e proiezione psichica o sogno.
"Millennium Actress" porta avanti la riflessione dell'autore concentrandosi ancora di più sugli stilemi cinematografici e sulle variazioni stilistiche del disegno animato per riconfigurare un reale filtrato da ricordi, sia biografici che cinefili. La protagonista raccontata da Kon è di nuovo una diva del mondo dello spettacolo: si tratta di Chiyoko Fujiwara, un'attrice cinematografica ritiratasi enigmaticamente trent'anni prima. In occasione della demolizione degli studi Ginei, di cui la Fujiwara è stata la stella più lucente, Gen'ya Tachibana, il capo di uno studio televisivo, riesce a ottenere il consenso della ormai anziana attrice per un'intervista, fondamentale per la realizzazione di un documentario sulla vita della diva. Tachibana e il cameraman Kyōji vengono accolti nella isolata dimora della donna, dove ha condotto una esistenza appartata e lontana dalle luci dei riflettori: si scopre che Chiyoko ha accettato l'intervista incuriosita dall'uomo che le aveva promesso di renderle un cimelio proveniente dal suo passato. L'oggetto è una chiave, perduta sul set di quello che sarebbe divenuto il suo ultimo lavoro: alla domanda di Tachibana, se fosse la chiave di qualcosa di importante, la donna risponde "della cosa più importante che esista". La chiave è un simbolo che chiarisce quale porta debba essere aperta, ossia quella dei ricordi della donna. Chiyoko rivela la storia da cui origina l'importanza di quella chiave: in età adolescenziale, poco prima di diventare attrice, incrocia casualmente un pittore sovversivo mentre questi stava scappando dalle autorità, innamorandosene. Questo primo amore le lascia solo due eredità tangibili: la chiave e un suo ritratto, ossia l'accesso alla propria memoria e un "doppio" del suo volto.
Cadere sulla soglia: il trompe- l'œil
Nelle interviste posteriori al successo di "Perfect blue", Kon ha spesso mostrato un certo imbarazzo quando gli si chiedeva conto della critica al fenomeno delle teen-idol, affermando che non era affatto nelle sue intenzioni. Il regista ha sempre tenuto a discutere del proprio lavoro partendo dall'aspetto formale e, a tal proposito, ha detto come il metodo messo a punto per raccontare la storia di "Perfect Blue" diventasse l'obiettivo stesso di "Millennium Actress".[1]
Nelle prime immagini la Fujiwara interpreta un'astronauta che si accinge a partire per un viaggio interstellare: le vibrazioni dovute al lancio dello shuttle sembrano riverberarsi sullo schermo televisivo dove il film viene visto da Tachibana. Satoshi Kon informa immediatamente il tessuto visivo-narrativo delle coordinate che costituiscono uno stile che possiamo definire trompe-l'œil. Primo inganno: non stiamo vedendo il film ma il film-nel-film, proseguendo nella logica di "Perfect Blue". Secondo inganno: le vibrazioni, come comprende presto l'uomo, non sono - ovviamente - causate dal film ma da un forte terremoto che scuote Tokyo. Kon si appresta così a raccontare la vicenda della sua protagonista avvertendo lo spettatore che dovrà (come minimo) districarsi tra narrazioni di secondo e di primo grado, tra performance e vissuto.
Quando Chiyoko inizia a ricordare la sua vita parte da un vecchio album fotografico: sulle foto, che sono disegni a carboncino con un viraggio seppiato, inizia a muoversi la sua figura di ragazzina, passando di immagine in immagine e raccontando gli anni dell'imperialismo giapponese e di quegli estremismi nazionalisti che deflagreranno nel secondo conflitto mondiale. Kon anima l'emersione mnesica solo e soltanto per mezzo di un supporto visivo: senza immagine non c'è memoria e, viceversa, senza memoria non esistono immagini. Il racconto della donna è distillato di una produzione visiva che siamo portati a credere essere personale, benché i segnali per dubitarne ci siano: infatti, quando il volto dell'anziana attrice dissolve nel suo volto adolescente (stante di fronte al direttore degli studi cinematografici), all'interno della medesima inquadratura sono anche presenti Tachibana e Kyōji, che, videocamera alla mano, sta riprendendo la scena. Rapiti dalle parole della donna, i due intervistatori sono finiti dentro al film della sua vita: questa è solo la prima delle illusioni ottiche prodotte dallo stile di Kon poiché, da un certo punto in poi, distinguere la vita dal cinema diverrà un'impresa ardua se non addirittura sterile. Quando la giovane Chiyoko non riesce a raggiungere il treno dove siede l'amore della sua vita, cadendo disperata sulla banchina, Tachibana, non trattenendo le lacrime, esclama di aver visto quel film più di cinquanta volte; il suo operatore, spiazzato, si chiede quando quella storia sia diventata un film. Successivamente, mentre la giovane si trova in Manciuria per girare la sua prima pellicola, il treno da lei preso nella speranza di ritrovare il pittore fuggiasco subisce un attacco da parte dei ribelli. Aperta una porta per sottrarsi all'incendio, lei e la piccola troupe si ritrovano catapultati in un Giappone medievale, simile a quello di "Trono di sangue" di Akira Kurosawa, dove volano frecce infuocate e si combattono clan rivali. Le soglie attraversate da Chiyoko sono mondi possibili che si dischiudono, gli inciampi e le cadute la spostano di film in film, procrastinando il ricongiungimento con l'amato. Kon individua nella tecnica del match cut l'utensile più potente e raffinato per un montaggio che dia l'illusione di continuità narrativa all'interno della discontinuità spazio-temporale, un tratto distintivo del suo stile che si ritroverà radicalizzato in "Paprika - Sognando un sogno" (2006). Gli aneddoti biografici divengono inestricabili dalla carriera di attrice e la narrazione squaderna una proliferazione di ipertesti che spaziano tra i generi e la storia del cinema giapponese. Maria Roberta Novielli ha notato che "la citazione che ingloba le altre potrebbe riferirsi a un film colossale in tre parti diretto da Oba Hideo tra il 1953 e il 1954: Qual è il tuo nome? (...) storia dell'amore tra due giovani che si conoscono durante un'incursione aerea, promettono di reincontrarsi sullo stesso ponte dopo sei mesi, dimenticandosi però di scambiarsi i nomi, e dopo una serie di incontri fortuiti e di altri eventi, in qualche modo il destino li divide".[2]
Un montage, posto significativamente a metà dell'opera, assume il doppio compito di fungere sia da concept estetico dell'opera, sia da saggio dell'impareggiabile talento visionario di Kon: un carrello laterale segue la cavalcata della donna che attraversa i fondali che omaggiano gli scenari delle storie illustrate e dell'ukiyo-e fino a dissolversi in contesti urbani moderni che Kon caratterizza grazie a un'animazione sensibile ai cambiamenti e alle rispondenze cromatiche che ritmano le immagini. Se "Perfect Blue" creava un classico movimento verticale, di sprofondamento nel subconscio della protagonista e nei vari livelli di realtà, "Millennium Actress", una volta accordato il racconto alla frequenza mnemonica della protagonista, ne delinea uno orizzontale, in una visione che mette ogni elemento a fuoco per fotografare quelle gocce che stillano dai suoi ricordi ma che, una volta ri-narrati, divengono inevitabilmente parte integrante di un immaginario collettivo.
Il crepuscolo del postmoderno
Da ormai molti anni si parla di un superamento del postmoderno o della fine della sua epoca. La maniera in cui Kon intende lo storytelling e la pervasività metacinematografica della sua opera dimostrano la sua spiccata sensibilità postmoderna; ma con "Millennium Actress" il regista compie una piccola rivoluzione, lambendo i limiti del postmoderno. Quella che agita la corsa a perdifiato di Chiyoko è la febbrile fantasia dell'autore, in preda a un eccitamento enciclopedico nel rileggere luoghi e topoi della storia del Giappone e del suo cinema. Sovvertendo il tocco gentile in violenza possiamo accostare il capolavoro koniano ad altre due pellicole che sembrano avere un ruolo catartico per l'età postmoderna della Settima Arte: da una parte abbiamo l'anticipazione della furia sui generi(s) che Quentin Tarantino sfodererà in "Kill Bill" (2003), dall'altra l'iconoclastia nichilista dell'"Izo" di Takashi Miike (2004). In particolare, la personale lettura della storia del samurai Izō Okada da parte di Miike avviene proprio lavorando sull'attraversamento di soglie che conducono il protagonista in un labirinto di spazi e tempi: il precipitare di Izō segue un movimento orizzontale, lasciando dietro di sé una carneficina. Se Miike insegue l'eterno ritorno di un dolore metafisico al fine di poterlo spurgare, Kon cerca di riempire, nell'inseguimento di un amore fantasmatico, quel vuoto di senso e d'identità che rende travagliate le vite degli uomini. Chiyoko Fujiwara è dunque un'eroina-palinsesto che cambia epoca, identità, travestimenti per poter rimanere se stessa e proseguire il proprio malinconico viaggio. Le inquadrature che scivolano via lateralmente, srotolandosi come un disegno infinito, riconsegnano al cinema la sua funzione di macchina dei sogni che estende e amplifica il senso delle nostre esistenze.
L'opera di Satoshi Kon, morto precocemente nel 2010, testimonia una totale fiducia nel linguaggio filmico e nell'animazione, e "Millennium Actress" sigilla la sua eredità artistica. Ambientando la ricerca della ragazza all'interno di un orizzonte metacinematografico, il regista sembra dirci che non esistono storie né Storia al di fuori di quella del cinema. Come ci ha insegnato Jean-Luc Godard, histoire(s) du cinema: toutes les histoires.
[1] T. Mes, Intervista a Satoshi Kon, http://www.midnighteye.com/interviews/satoshi-kon/, 11 febbraio 2002.
[2] M.R. Novielli, Animerama. Storia del cinema d'animazione giapponese, Marsilio, Venezia, 2015, p. 230 (nota 76). Stimolante l'ipotesi di una triangolazione tra "Qual è il tuo nome?", "Millennium Actress" e "Your Name." di Makoto Shinkai, anche quest'ultimo attraversato dal tema dello sure chigai ("contatto mancato").
regia:
Satoshi Kon
titolo originale:
Sennen Joyū
distribuzione:
Eagle Pictures
durata:
87'
produzione:
Genco Inc, Bandai Visual Company, Chiyoko Committee, Taro Maki
sceneggiatura:
Satoshi Kon, Sadayuki Murai
fotografia:
Hisao Shirai
montaggio:
Satoshi Terauchi
musiche:
Susumu Hirasawa