Capitolo quattro. Giunta anche la saga cinematografica di “Men in Black” al quarto capitolo, si è reso necessario questa volta un deciso cambio di rotta. Una ripartenza. Non completa, chiaramente, perché il franchise negli ultimi venti anni – dall’uscita quindi del primo film con protagonisti Will Smith e Tommy Lee Jones – ha influenzato in modo irrimediabile la cultura pop occidentale. Fumetti, videogiochi, pellicole: tutto ha contribuito a generare un fenomeno in grado di affascinare migliaia di persone. Non si può, dunque, fare finta che nulla sia successo, credendo che gli spettatori si approccino a un “Men in Black” nello stesso modo con cui si avvicinarono a quello del 1997. Allo stesso tempo, per continuare a spremere per bene una serie di successo e magari sperare di ricavarci qualcosa di buono, serve fare un passo indietro. Ripartire, come abbiamo detto. Questo, nell’industria dello spettacolo, significa che c’è bisogno di uno spin-off (o di un reboot, a seconda dei casi). Adattarsi e cambiare per sopravvivere: anche “Men in Black” non sfugge a questa logica.
Quindi addio ai due interpreti principali (gli agenti J e K) e benvenuti nella sede londinese dell’agenzia segreta. Le nuove avventure vedono protagonisti Chris Hemsworth e Tessa Thompson, direttamente “riciclati” dal Marvel Cinecomic Universe e in particolare da “Thor: Ragnarok”. E se già questa pigra scelta di casting denota una certa mancanza di personalità proprio in una delle serie più carismatiche dell’ultimo ventennio, dall’altra dimostra come il nuovo “International” intenda recuperare quel bacino d’utenza assorbito dalle produzioni Disney. Molly (Thompson), dopo un precoce incontro ravvicinato con un’entità aliena, coltiva il sogno di entrare a far parte dell’agenzia dei “Men in Black”. Una volta adulta, grazie alla sua caparbietà riesce a farsi reclutare nella divisione di Londra. Qui conosce l’agente H (Hemsworth), punta di diamante della sede, e insieme vengono coinvolti in un incidente che li mette a conoscenza di un'incredibile verità: nell’organizzazione degli uomini in nero si nasconde una talpa.
Abbiamo già detto che l’influenza avuta dalla serie di “Men in Black” nella cultura pop non può essere trascurata, tanto che già nella presentazione del nuovo “International” – quando la statua della Columbia Pictures prende improvvisamente vita – si gioca con alcuni degli oggetti caratteristici del brand.
Cosa ha reso le precedenti pellicole della serie così celebri? Quale strano equilibrio era riuscito a raggiungere Barry Sonnenfeld affinché quei film diventassero cult? Sceneggiature perfettamente congegnate, momenti memorabili, attori magnetici e incredibilmente in parte: tutto in una struttura produttiva di rara lucidità. In “International”, però, non c’è niente di tutto questo. Tutti gli ingredienti di quella ricetta vincente sono mal dosati, appartenenti forse a qualche sottomarca da discount. Ogni più piccolo segreto in grado di donare successo alla serie sembra essere stato smarrito per strada, perduto forse tra i continui cambiamenti dovuti alla gestazione travagliata di questo spin-off.
Ogni cosa sembra all’insegna della modestia in “International”, a partire proprio dai personaggi, anonimi e prevedibili, ma soprattutto dalla direzione degli attori. Difficilmente, per fortuna, vedremo gestiti così male attori che hanno saputo dare prova di grande talento – e qui ci riferiamo ai due protagonisti – o di grande esperienza – e qui invece parliamo di Emma Thompson e Liam Neeson. Certamente non aiuta poi una scrittura senza verve o brillantezza di sorta (e contando che parliamo pur sempre di una commedia, ciò basterebbe ad affossare da sola un intero lungometraggio), insipida come ogni singolo aspetto dell’opera e fondamentalmente priva di qualsivoglia interesse. Nostro compito segnalare linee di dialogo talvolta imbarazzanti sia per quel che riguarda la sfera comica, sia per quel che riguarda la sfera drammatica del racconto (per gli spettatori più cinici, attenzione a battute di incredibile profondità come “tutte le donne sono regine”); per non parlare poi di effetti speciali terribili, oscillanti tra quelli di una scadente pellicola d’animazione e quelli di un video amatoriale su YouTube.
In fondo la parte più difficile di “International”, tale è il disastro del risultato finale, risiede nel trovare gli elementi positivi. In una narrazione incoerente e approssimativa, che ha pure l’ardire di concludersi con un happy end alla tarallucci e vino dove i cattivi si scoprono in fondo buoni come il pane; e dove tutto è insapore, privo di personalità, anodino, alla fine possiamo solo constatare la natura dimenticabile di tutta la produzione. “International” non è terribile, solo tristemente mediocre. Per una delle serie, come già abbiamo avuto modo di affermare, più carismatiche degli ultimi anni, non esattamente un grande risultato.
cast:
Chris Hemsworth, Tessa Thompson, Liam Neeson, Rebecca Ferguson, Emma Thompson, Rafe Spall, Kumail Nanjiani
regia:
F. Gary Gray
distribuzione:
Sony Pictures Italia/Warner Bros. Pictures Italia
durata:
114'
produzione:
Columbia Pictures, Sony Pictures Entertainment, Amblin Entertainment, Parkes+MacDonald Image Nation
sceneggiatura:
Matt Holloway, Art Marcum
fotografia:
Stuart Dryburgh
scenografie:
Charles Wood
montaggio:
Zene Baker, Christian Wagner, Matthew Willard
costumi:
Penny Rose
musiche:
Chris Bacon, Danny Elfman