Dato che ogni articolo dedicato a "Melbourne" di Nima Javidi citerà il cinema di Asghar Farhadi sarà meglio togliersi subito il pensiero e chiedersi: davvero deve così tanto al regista di "Una separazione"? La risposta sarà affermativa, nonostante alcune significative differenze.
Indubbiamente le opere di Farhadi hanno rilanciato il cinema iraniano all'attenzione della critica internazionale aprendo, attraverso i propri personaggi, le porte ad una realtà benestante rispetto a più povere esistenze immortalate in precedenza da cineasti come Kiarostami, Makhmalbaf e Naderi.
Javidi è perfettamente ascrivibile a questo nuovo corso, assimilazioni di radici teatrali comprese. Anche per limiti di budget "Melbourne" è quasi integralmente racchiuso tra le pareti di un appartamento ed è prevalentemente basato su un duetto di attori, Peyman Moaadi - caro, per l'appunto, al cinema di Farhadi - e Negar Javaherian.
Se tra le dichiarate influenze di Javidi ci sono anche Roman Polanski e l'Alfred Hitchcock di "Nodo alla gola", l'espediente da thriller non vuole rispondere alla canonica domanda "chi ha ucciso chi", quanto piuttosto circumnavigare attraverso le reazioni che il "caso" provoca ai due coniugi, accerchiati da una umanità che inconsapevolmente scardina non soltanto le reazioni dell'oggi ma mette inevitabilmente in dubbio le certezze di ieri e soprattutto quelle del domani.
In un certo senso "Melbourne" è un thriller nella stessa misura in cui è un horror (del quotidiano) e, di conseguenza, sotto quest'ottica sono leciti ulteriori dubbi morali posti allo spettatore: Amir e Sara, vittime di un poco benevolo destino, perché restano fermi in un immobilismo che blocca durante il corso del film ogni possibilità di uscire indenni da una situazione extra-ordinaria? È l'inerzia di una classe borghese, lo stallo di una nazione ma anche l'incapacità di evadere oltre prestabiliti principi. Dunque, la decisione finale preannuncia tutt'altro che un lieto fine e, in assoluto, i rimpianti del passato resteranno incancellabili. Ad ogni modo i due oltre a uscirne emotivamente segnati avranno imparato a conoscersi meglio e in particolar modo ad approfondire gli angoli più controversi e fragili del loro carettere. Da qui l'ovvia domanda: quale destino sarà loro riservato? Ogni spettatore potrà cercare la risposta che più ritiene opportuna.
La dimensione del film è maggiormente compressa rispetto ai film del sopracitato Farhadi. Lo è chiaramente nel raggio di azione in cui è racchiuso - con una ricerca dell'inquadratura talvolta geometrica nel tentativo di catturare distanze fisiche e mentali - ma è anche meno estesa nel tempo, meno problematica e globale. Anche se non riesce con puntualità a sfuggire ai limiti dell'esercizio di stile, questa intima sfera riesce a restituire una credibile verità nella rappresentazione del rapporto di coppia, nella intrinseca verità emersa da una tragedia.
Laddove il film patisce qualche incertezza è in alcuni meccanismi di sceneggiatura direttamente funzionali all'aspetto thrilling della narrazione: un significativo particolare dell'accaduto scorto quasi casualmente grazie alla visione di fotografie, una porta che bussa durante una fondamentale telefonata e alcuni facili escamotage per arginare l'emersione della verità sono scelte che denotano scorciatoie facili in rapporto alla complessità richiesta da alte intenzioni esposte. Meccanismi che frenano la perfetta amalgama tra i personaggi e le suspanse scaturita dall'insieme, ma che non inficiano la sincerità di quest'opera prima né le interessanti potenzialità di Nima Javidi.
cast:
Peyman Moaadi, Negar Javaherian, Mani Haghighi, Shirin Yazdanbakhsh, Elham Korda, Roshanak Gerami, Mehrnoosh Shahhosseini
regia:
Nima Javidi
distribuzione:
Microcinema
durata:
91'
produzione:
Iranian Indipendents
sceneggiatura:
Nima Javidi
fotografia:
Hooman Behmanesh
scenografie:
Keyvan Moghadam
montaggio:
Sepideh Abdolvahab
costumi:
Keyvan Moghadam
musiche:
Hamed Sabet