Ondacinema

recensione di Matteo Zucchi
6.0/10

Mary e lo spirito di mezzanotte


A sei anni dal suo film precedente, "Pipì, Pupù e Rosmarina in Il mistero delle note rapite", Enzo D’Alò torna nei cinema passando per la Berlinale con una co-produzione internazionale, fatto non sorprendente per il regista napoletano, se consideriamo che pure l’esordio "La Freccia Azzurra" era prodotto da Italia, Svizzera, Lussemburgo e Germania, ma che qui colpisce per la quantità di contributori, da ben sette paesi europei differenti. Una simile cordata per portare sullo schermo il romanzo per ragazzi "A Greyhound of a Girl" dell’irlandese Roddy Doyle può sembrare impressionante ma dice in primo luogo qualcosa sullo stato dell’animazione in Italia e sulla difficoltà di produrre questo genere di pellicole, strutturale e, negli ultimi 30 anni, ormai conclamata. E guarda caso sono proprio 30 anni che  D’Alò fa animazione, dai tempi del cortometraggio "Kamillo Kromo", a cui erano seguiti i successi de "La Freccia Azzurra" e "La gabbianella e il gatto" (e della serie della "Pimpa" del 1997), successi che d’altronde non hanno avuto molto seguito, contribuendo a rendere il decennio (a spanne) 2003-2013 il periodo forse peggiore per il cinema d’animazione italiano. Esperimenti come quelli di Alessandro Rak e Lorenzo Mattotti paiono aver aperto uno spiraglio per l’animazione italica ma la settima pellicola del veterano Enzo D’Alò può difficilmente essere inserita nello stesso filone, e non certo per via della portata internazionale della co-produzione.

Ciò che caratterizza "Mary e lo spirito di mezzanotte" (lode agli adattatori di titoli che sono riusciti a produrre risultati discutibili anche con la localizzazione del film di un italiano) è difatti la tradizionalità dell’impianto, ben distante dai rischiosi esperimenti con l’animazione 3D di Rak e l’estetica molto stilizzata di Mattotti. Il film si distingue difatti per una classicamente indisponente giovane protagonista, per elementi fantastici programmaticamente vaghi, per il character design che riecheggia a tratti la Disney degli anni del "Rinascimento" ma soprattutto varie serie Disney Channel degli anni Dieci, per l’accumulo di cliché narrativi e per l’inserimento poco omogeneo di canzoni nel corso della pellicola. Va ovviamente considerato che molte di queste caratteristiche hanno sempre fatto parte del cinema di D’Alò, e ne sono sempre state anche il limite principale (con la principale eccezione de "La gabbianella e il gatto"), finendo per portare alla riuscita solitamente episodica delle sue pellicole. "A Greyhound of a Girl" da questo punto di vista può essere anzi considerato rappresentativo, spiccando d’altro canto per i momenti in cui è la musica a guidare i movimenti delle immagini, altro elemento caratteristico della produzione del regista napoletano, e per le sequenze oniriche realizzate da Marco Zanoni e Regina Pessoa.

Questi momenti, accomunati dalla presenza di soggettive e per lo stile di disegno volutamente abbozzato, sono distinti però dalla palette di colori, optando per un lancinante bianco e nero nella sequenza dell’incubo e per calde sfumature seppia per i ricordi felici, così come per il momento (il più immaginifico dell’intera pellicola) in cui per un attimo il passato tracima letteralmente nel presente, sovrapponendosi alla palette dai colori saturi adoperata nella maggior parte delle sequenze. Lo stile dai tratti volutamente indefiniti delle parentesi oniriche non solo realizza un’interessante contrapposizione con il colorato e dai tratti ben definiti mondo ordinario, ma riecheggia anche le stilizzate sequenze musicali all’inizio de "La gabbianella e il gatto", rompendo per pochi minuti la monotonia visiva dell’ultimo film di D’Alò, che d’altronde è anche la monotonia della realtà in cui si muovono i suoi protagonisti, anzi, le sue protagoniste. Per quanto la mancanza di una precisa connotazione stilistica delle manifestazioni di Anastasia, e quindi dell’emersione dell’elemento sovrannaturale nel quotidiano, permetta di dubitare che quest’altra scelta estetica sia stata del tutto ragionata, non si può che negare l’efficacia di queste sequenze nel rompere quello che è anche il flusso fin troppo monotono della narrazione, diretta verso il suo finale di maturazione e presa di coscienza del passare del tempo senza particolari scossoni o ostacoli narrativi (altrimenti creandoli in modo palesemente posticcio, come nella sequenza della fuga dall’ospedale).

Se lo stile peculiare dei frammenti onirici (e la centralità dell’elemento musicale) ha ricordato a chi scrive le intromissioni animate del purtroppo ignorato "One Day, You Will Reach the Sea" di Nakagawa Ryūtarō, in cui i tratti abbozzati del mondo animato rappresentano l’indefinitezza di una dimensione in cui ancora tutto è possibile opposta alla crudezza della realtà in live action, è nella struttura narrativa che "A Greyhound of a Girl" finisce per avvicinarsi sorprendentemente a un’altra, a suo modo notevole, pellicola nipponica recente, ovvero "Suzume" di Shinkai Makoto. L’ultima opera del celebre animatore giapponese si distingue per la struttura rigidamente bipartita, con solo il prologo prima dell’evento iniziante la fabula e l’epilogo che segue la risoluzione a porsi al di fuori da questa divisione della pellicola, la quale si rispecchia qui nella prima (più ampia, troppo ampia) sezione urbana del film di D’Alò e nel seguente terzo di film dedicato al viaggio, doloroso ma necessario, di quattro generazioni di donne verso la propria Heimat. In ambedue i casi si tratta del viaggio a ritroso di una piccola e improbabile compagnia verso il luogo dove i traumi personali hanno avuto origine, intervallato da brevi pause che contribuiscono a rafforzare e al contempo mettere in discussione i rapporti fra le persone coinvolte.

Come "Suzume", anche "A Greyhound of a Girl" pare esprimersi al meglio quando assume la forma di un’avventura on the road su quattro ruote, la quale porta non a caso alla già citata sequenza pre-finale di compenetrazione fra passato e presente, in cui tra l’altro la comprovata abilità nel mescolare musica e animazione di Enzo D’Alò può finalmente brillare. Un momento che "sarà magnifico", come viene spesso ripetuto nel corso della pellicola, ma che purtroppo non basta a riscattare gli altalenanti 70 minuti precedenti, nei quali si alternano sequenze di notevole forza visionaria e la regia, coraggiosamente, mobile come di rado capita nell’animazione tradizionale a innecessarie parentesi canore e caratterizzazioni talmente stereotipate da sembrare parodie, ma che non essendolo risultano gioco forza offensive. Così come vi sono fra le pieghe del cinema italiano contemporaneo le potenzialità per cui emerga un giorno un’industria locale del cinema d’animazione, c’è un bel film fra le pieghe di "A Greyhound of a Girl". Peccato solo che il suo coming of age, a differenza di quello della sua protagonista Mary, non sia riuscito a dare appieno i suoi frutti.


25/11/2023

Cast e credits

cast:
Brendan Gleeson, Mia O Connor, Maricla Affatato, Sharon Horgan, Maria Pia Di Meo, Rosaleen Linehan, Valentina Favazza, Charlene McKenna, Franco Mannella, Charlotte Infussi


regia:
Enzo DAlò


titolo originale:
A Greyhound of a Girl


distribuzione:
Bim Distribuzione


durata:
85'


produzione:
Jam Media, Paul Thiltges Distributions, Aliante, Rija Films, Amrion Production, Fish Blowing Bubbles


sceneggiatura:
Enzo d'Alò, Dave Ingham


montaggio:
Gianluca Cristofari


costumi:
Character design: Peter DeSève


musiche:
Richard Evans, David Rhodes


Trama
Cresciuta nel mito della nonna Emer, sempre energica e grande cuoca, la vita della pre-adolescente Mary entra progressivamente in crisi quando non viene ammessa a una prestigiosa scuola di cucina, la sua migliore amica si trasferisce in Inghilterra e, soprattutto, la nonna si ammala gravemente. Proprio mentre si sente sempre più sola e meno compresa, comincia a incontrare una strana donna di nome Anastasia che sembra avere qualcosa a che fare con sua nonna, e che porterà grandi stravolgimenti nella vita di Mary, di sua madre Scarlett e di sua nonna.