Chi in Italia ama ancora vedersi i film, soprattutto in sala, ha molte ragioni per avercela con la nostra distribuzione. Perciò quando i nostri distributori riescono a sorprenderci trovo che sia giusto riconoscerlo. È il caso evidentemente della Lab 80 Film, società bergamasca con una quarantina di anni alle spalle, che non solo distribuisce film, ma produce, organizza proiezioni e rassegne. Senza la passione e l'attenzione di queste persone credo che difficilmente avremmo avuto l'occasione di vedere nei nostri cinema (pochi ma, si sa, sempre meglio di niente) un lavoro come "Marlina, omicida in quattro atti", terzo film della regista indonesiana Mouly Surya, presentato nella Quinzaine di Cannes 2017.
Gli appassionati del "Far East Film Festival" udinese avranno familiarità con la produzione indonesiana o con opere che prevedano un disinvolto miscuglio di generi, ma è bello pensare che anche lo spettatore che ha meno dimestichezza con certe cinematografie possa avere la possibilità di conoscere qualcosa di nuovo, o comunque di insolito. Si tratta in effetti di un western in chiave contemporanea (qualcuno ha usato l'espressione
satay western, con riferimento ai tipici spiedini locali che non mancano di fare la loro apparizione nella storia) con una protagonista al centro, la Marlina del titolo. I quattro atti invece (rispettivamente: la rapina, il viaggio, la confessione e il parto) sono quelli in cui viene divisa la vicenda.
Marlina (che ha il volto bello e nobile di Marsha Timothy, giustamente nominata all'Asian Film Award per questa interpretazione) è una donna che di recente ha perso il marito (e non è l'unico grave lutto che ha subito nella sua vita). A cadavere ancora fresco (è proprio il caso di dirlo) riceve la visita non troppo gradita di sei uomini intenzionati a violentarla e a prenderle tutto quello che ha. Non priva di coraggio e risolutezza, la protagonista riesce a scongiurare il pericolo e a far fuori i malintenzionati. Siccome non è una criminale, il giorno dopo decide di andare alla stazione di polizia più vicina per denunciare quanto è accaduto. Il viaggio sarà caratterizzato da incontri con personaggi coloriti, fra cui l'amica Novi, una donna in avanzatissimo stato di gravidanza, decisa ad andare a trovare il marito bracciante. Purtroppo nel frattempo Marlina e i suoi compagni di viaggio si imbattono anche nei complici degli assalitori della sera prima, intenzionati a vendicarsi, evidentemente non avendo ancora compreso che la donna, al di là dei suoi modi compiti e del suo buon cuore, è un osso molto duro.
Nei suoi precedenti lavori, Mouly Surya aveva raccontato di ragazze in situazioni piuttosto particolari e sebbene stavolta la figura centrale sia una donna adulta, la predilezione per storie sui generis non viene meno. Anche se l'immagine di Marlina inquadrata di spalle a cavallo con indosso i suoi vestiti migliori e un machete a tracolla la mette di diritto fra le eroine del cinema asiatico contemporaneo, il film sceglie tempi e ritmi cadenzati che sono ben lontani dalle proposte adrenaliniche tipiche delle pellicole action provenienti dall'estremo oriente. Quindi dimenticate titoli come "Ong-Bak", "
The Raid" (tra l'altro la Timothy è pure apparsa nel secondo episodio) o il recentissimo "Villainess" (giusto per citare qualche titolo); alla regista non interessano le coreografie mozzafiato o le sequenze spettacolari e, pur se non mancano gli spargimenti di sangue, si intuisce che il suo pensiero più che a Miike Takeshi va a
Kurosawa, perché il suo cinema sembra essersi formato grazie ai grandi maestri, come si vede dalla cura formale che mette nelle inquadrature (ad esempio la lezione di Ozu è spesso presente nelle sequenze di interni). La splendida fotografia di Yunu Pasolang valorizza al meglio la bellezza dei paesaggi dell'isola di Sumba, dove la vicenda è ambientata, e non va assolutamente trascurato il contributo che danno le musiche di Zeke Khaseli e Yudhi Arfani che non solo commentano efficacemente la vicenda ma accompagnano il momento, surrealmente parlando, più efficace della pellicola, quello del musicista senza testa che segue l'imperturbabile Marlina.
Anche se probabilmente definire "Marlina, omicida in quattro atti" un film politico potrebbe sembrare azzardato, la regista nel raccontare un'eroina capace di avere la meglio su "uomini che odiano le donne" senza poter contare sulle istituzioni (i poliziotti che Marlina ha urgenza di vedere mostrano pochissimo interesse o sensibilità verso quanto le è successo) può volerci dire qualcosa dell'Indonesia odierna come di tanti altri paesi e, considerato anche quanto sta succedendo in occidente a livello di movimenti di opinione riguardo ai soprusi che in vari ambienti le donne subiscono da personaggi di potere, questa pellicola, che ha un'anima popolare ma per forza di cose viene presentata come un prodotto di nicchia (nelle nostre sale è anche lodevolmente distribuita in versione originale coi sottotitoli), arriva al pubblico italiano (almeno quello più curioso) davvero con notevole tempismo.