Contrapponendosi alle suggestioni del titolo del suo ultimo film, il cinema di Gianni Di Gregorio invita a una vicinanza, a una contemplazione. Un po’ come sedersi a un tavolino di un bar in compagnia di vecchi amici e accorgersi di saper ancora udire parole significative o meno, guardare i volti segnati dagli anni vissuti, la verità degli occhi celata - oggi più che ieri - dal trambusto del caotico vivere quotidiano. "Lontano lontano" è il suo quarto film da regista ed è un altro capitolo di un microcosmo filmico che preserva alcune caratteristiche che abbiamo imparato a riconoscergli:
la breve durata, come sempre contenuta in 90 minuti scarsi in una scansione ritmica regolare e sintetica; e una drammaturgia che pur non disdegnando l’improvvisazione è accortamente incasellata in situazioni, spazi e luoghi precisi ma non soccombenti a un provincialismo d’accatto: la romanità risulta al dunque il risultato di una ispezione e non una cifra di riporto cercata per scatenare risate e facili immedesimazioni.
È quieta la Roma di Di Gregorio; e di esemplari luoghi tra quelli sovente calpestati dal cittadino comune sceglie sempre le porzioni più pacate, i momenti della giornata dove la massa lascia spazio ai corpi e alle voci non sempre servite dall’obiettivo del nostro cinema. I bar poco in vista, gli uffici postali che, semivuoti, si apprestano a chiudere i battenti dopo una giornata lavorativa, i mercati ortofrutticoli senza strepitii, le spiagge colte in frammenti pre-estivi, gli autobus non troppo affollati che hanno come ultima fermata una pigra ma forse rassicurante periferia.
Anche nei pochi campi medi sono ridotte all’osso le comparse che fanno da sfondo: il predominio dei tre protagonisti ha la meglio e la macchina da presa li cattura allora quasi sempre a distanza ravvicinata. Il Professore (Gianni Di Gregorio), Gigetto (Giorgio Colangeli) ed Attilio (Ennio Fantastichini, qui alla sua ultima apparizione cinematografica) sarebbero in verità protagonisti di vissuti se non agli antipodi comunque non così vicini. Il comun denominatore della pensione - di un’anziana età - fa avvicinare i tre, fino a renderli quasi un corpo unico. In "Lontano lontano" non ci sono risaputi litigi, insormontabili incomprensioni, né si adoperano scene madri per districare il racconto. Il film è allora animato da questo terzetto che, affiatato, si dibatte tra chiacchierate a volte interessanti e altre più o meno futili e si pone interrogativi su un presente che potrebbe essere relativamente migliore. La condizione di chi si ritrova in un’età di vita, fuori posto – o quantomeno fuori fuoco – porterà i tre a ipotizzare la lontananza da quei luoghi che gli hanno donato i natali e dai quali molto di rado si sono discostati.
La loro scelta prevede dunque l’esigenza di racimolare del denaro. Fedele a una fiera controtendenza, rispetto a sviluppi narrativi di coeve pellicole, la vicenda non li spinge verso alcun piano criminale (rapine o truffe che siano), ma i nostri tentano semplicemente di raschiare il fondo del barile tra tesoretti immagazzinati nel corso degli anni e oggetti da mettere in vendita.
La storia è tutta qui e tanto basta per rinnovare gli ingredienti che hanno caratterizzato i precedenti lungometraggi di Di Gregorio e che, invero, partendo da "Pranzo di ferragosto" - e proseguendo con "Gianni e le donne" e "Buoni a nulla" - cominciavano forse a manifestare segni di stanca. Qui la novità è rappresentata dal personaggio del giovane Abu, un immigrato che dall’Africa è giunto nel nostro belpaese mediante un gommone, alla ricerca di una migliore condizione di vita: figura che resta ai margini del racconto ma che, strada facendo, finisce con l’abbracciare vicenda e personaggi risultandone ideale cuore dell’insieme.
Un messaggi nobile e al solito non urlato, ma a rivitalizzare il cinema del settantenne regista è però soprattutto la felice alchimia cretasi tra i tre attori, portatori di un discorso esperenziale di vita e di cinema tangibile durante la visione di "Lontano lontano".
Un film che comincia, prosegue e finisce in levare, approdando alla “scelta” finale con il medesimo garbato fare che aveva fino ad allora caratterizzato l’azione della pellicola. In segno di una preziosa amicizia, in nome di un ottimismo sano e senza buonismi.
La ricognizione di questi tra anziani amici al tavolino di un bar è all’insegna di un sereno brindisi.
cast:
Ennio Fantastichini, Galatea Ranzi, Silvia Gallerano, Francesca Ventura, Roberto Herlitzka, Salih Saadin Khalid, Daphne Scoccia, Gianni Di Gregirio, Giorgio Colangeli, Iris Peynado
regia:
Gianni Di Gregorio
distribuzione:
Rai Cinema
durata:
90'
produzione:
Bibi Film, Rai Cinema
sceneggiatura:
Gianni Di Gregorio, Marco Pettenello
fotografia:
Gogò Bianchi
scenografie:
Susanna Cascella, Giada Esposito
montaggio:
Marco Spoletini
costumi:
Gaia Calderone
musiche:
Stefano Ratchev, Mattia Carratello