Il mondo di "Lontano da qui" non viene restituito con una prospettiva ad altezza di bambino. Il piccolo Jimmy è il cuore pulsante di una possibilità, ovviamente di un domani, di una speranza. Di un sogno ma pure di un’illusione.
Che è lo stesso miraggio dell’ormai matura Lisa Spinelli. Un personaggio tutt’altro che riconcilato quello interpretato da una bravissima Maggie Gyllenhaall: donna che con corretta inerzia conduce un'esistenza che può dirsi poco soddisfacente e comunque ben lontana da ipotesi vive e rigeneratrici. Il suo matrimonio vive di onesta ordinarietà ma poca passione, mentre da genitrice di un'adolescente ci appare distratta e, forse, non sufficientemente affettuosa.
Ma è, ancor di più, la vita che svolge al di fuori delle pareti domestiche ad aprire il vaso che sprigiona insicurezze, insoddisfazioni, sogni non realizzati.
La Staten Island che fa da sfondo è soltanto una minuscola porzione della grande mela newyorkese protagonista di molti blockbuster a stelle e strisce ed è di conseguenza un prolungamento della sbiadita e grigia vita che conduce Lisa. Il lavoro di maestra d’asilo è un emblematico ago della bilancia per testare le opportunità di donare solidi ragioni di vita alla sua esistenza. Perché l’educazione e gli insegnamenti da impartire ai bambini, adulti del futuro, responsabilizzano l’indivduo spesso oltre le proprie possibilità, moralmente oltre il puro obbligo lavorativo.
Il corso di poesia che la donna frequenta abitualmente nei suoi pomeriggi, ha due fondamentali funzioni nell’ambito dello sviluppo narrativo: fa affiorare un impulso creativo che non saprà rivelarsi ispirazione e farà da ponte alla conoscenza che potrebbe cambiarle la vita: quella con il piccolo Jimmy, suo allievo che a soli 5 anni si rivela possessore di un talento fuori dall’ordinario proprio nella scrittura di poesie. Naturalmente i versi che lei, nonostante tentativi e sforzi, non sarà mai in grado di comporre. Emblema di rimpianti, limiti e frustrazioni.
La poesia è un mezzo che il film pone in primo piano, sottintendendone l'inattualità, hobby dilettevole per uomini di mezza età e addirittura corpo estraneo per le nuove generazioni. La contrapposizione sottilmente evidenziata dalla regista Sara Colangelo appare evidente: presentare tracce di espressioni artistiche nell’America trumpiana, involgarita nella dialettica di uso comune quanto appiattita e inglobata nella freddezza dell’era digitale. Il vocabolario di uso comune prevede l'utilizzo di poche parole, associazioni limitate e meccaniche ma è soprattutto il ritmo della quotidianità a rendere scontate e vaghe le rime capaci di produrre, poi, rapporti umani e affetti conenenti una propria unicità.
Senza alcun dubbio il rapporto tra la donna e il bambino vive di autenticità: è in primo luogo un incontro tra due esistenze inespresse: l’una incompiuta, l’altra già in balìa di indifferenza, emarginata, non accuratamente tenuta per mano (dalla famiglia, dal prossimo). Il talento e le capacità del bambino sono e resteranno suscettibili ad un'indifferenza che penalizzerà l’espressività, una proprietà che non sembra avere eguali tra i suo coetanei (e non solo). Lisa ci sembra realmente affezionata al bambino e non si discute la sua straordinaria volontà e dedizione nel liberarlo dalle prigioni socio-familiari, di rendere visibile e di conseguenza vivo il talento che lo contraddistingue, al di là della predisposizione del prossimo che non necessariamente saprà vederlo e valorizzarlo.
Le difficoltà, che si faranno dapprima sconsolatezza e poi reale sconfitta risiedono in una annosa e amara problematica: mettendo in discussione e poi ribaltando cinematografie che con ovvie scorciatoie melodrammatiche gioca le sue carte puntando tutto sul riscatto dello scopritore e la ribalta di gloria del talento di turno, l'italo-americana Sara Colangelo attraverso questo remake di un omonimo e da noi inedito film israeliano di Nadav Lapid (2014), che chiede fino a che punto è lecito appropriarsi oltre i limiti del consentito di un’infanzia pur critica (la donna mente ai familiari del bambino per permettergli un'esibizione pubblica e, peggio, sull’onda della disperazione finisce a conti fatti con il rapirlo). Sposando ideali condivisibili con palesi limiti personali, si infrangerà contro un doloroso torto che per forza di cose penalizzerà anche le iniziali buone ragioni e condivisibili ideali. "Lontano da qui" è accomunabile a "Un sogno chiamato Florida" di Sean Baker per i presupposti delineati nel raccontare, ai bordi dei contemporanei Stati Uniti, il critico accompagnamento del bambino in una maggore età, da parte di adulti molto poco responsabili: servendosi di qualche scorciatoia narrativa la Colangelo è forse meno abile e accattivante del collega, nei confronti del quale ha però all'attivo una maggiore autenticità per come riesce ad addentrarsi nei chiaroscuri della complessa personalità della sua protagonista.
cast:
Maggie Gyllenhaal, Parker Sevak, Gael García Bernal, Anna Baryshnikov, Rosa Salazar, Michael Chernus
regia:
Sara Colangelo
titolo originale:
The Kindergarten Teacher
distribuzione:
Officine Ubu
durata:
96'
produzione:
Pie Films Productions, Maven Pictures e PaperChase Films, Manhattan Productions, Imagination Park En
sceneggiatura:
Sara Colangelo
fotografia:
Pepe Avila Del Pino
scenografie:
Mary Colston
montaggio:
Marc Vives, Lee Percy
costumi:
Vanessa Porter
musiche:
Asher Goldsmith