La seconda vita artistica di Anton Corbijn, uno dei più influenti fotografi degli anni 80 e 90, aveva lasciato presagire risultati di alto livello ai suoi albori. Prima un decennio a girare videoclip in giro per il mondo per le band e i musicisti più importanti, poi l'esordio al cinema con "Control", il biopic dedicato a Ian Curtis dei Joy Division. Il prosieguo dietro la macchina da presa, però, ha avuto risultati piuttosto altalenanti: prima il terrificante thriller "The American", poi l'innocua spy story "La spia", ultimo film di Philip Seymour Hoffman. Da un progetto all'altro, l'ex fotografo olandese ha sempre cercato di ottenere un ambizioso risultato: sfruttare il suo talento per l'immagine catturata da un obiettivo e farne una sorta di fotografia in costante movimento per il cinema. A sprazzi la suggestione visiva è risultata appagante, spesso invece è rimasta solo una vaga sensazione superficiale.
Succede più o meno lo stesso in questo "Life", in cui Corbijn racconta dell'amicizia tra il fotoreporter della celebre rivista Dennis Stock e il divo hollywoodiano in rampa di lancio James Dean. Un'amicizia che produsse nella realtà alcuni scatti entrati a far parte dell'immaginario collettivo (come quello di Jimmy a passeggio per Manhattan sotto la pioggia con alle sue spalle Times Square) e che diventano anche la principale sfida per il regista: solo un cineasta che nella sua vita ha lavorato con le fotografie, e la cui carriera fa appunto da ponte fra queste due forme di espressione visiva, può rimettere in scena su un set cinematografico un fermo immagine. Corbijn lavora con precisione certosina sul dettaglio, sulla ricostruzione d'epoca, sulla cornice d'insieme della vicenda. E su tutto questo, cui aggiungiamo una direzione della fotografia assolutamente all'altezza, l'obiettivo si potrebbe dire centrato.
Il problema è un altro: la Settima arte non è solo messa in scena visuale o esaltazione del particolare immortalato dalla macchina da presa. Non ci può essere cinema vero e proprio senza una sapienza narrativa dietro ogni immagine, un pathos che sappia creare un rapporto di affezione fra lo spettatore e ciò che viene messo in scena. Non diremmo che Corbijn è incapace a fare ciò, semplicemente sembra che non gli interessi. Il suo cinema è profondamente ammiccante, emulativo di retaggi che il pubblico ha assorbito nel corso del tempo. La storia dei personaggi, però, resta materia inerte, priva di drammaticità o spessore emotivo. È qui che il film tradisce una freddezza inusitata, se comparata con le potenzialità del soggetto. Qui si parla del mito per antonomasia, il giovane attore di grandi promesse che chiude tragicamente la sua vita terrena appena diventato famoso. Questa sorta di prequel fittizio agli eventi che noi tutti conosciamo permetteva di addentrarsi in tematiche stimolanti, dal rapporto tra la fama e il tormento interiore, al senso più profondo di che cosa sono i rimpianti per l'uomo.
Peccato che Corbijn non sappia dare questo spessore drammaturgico alle vicende che racconta, perché già da sola la sua abilità di "confezionatore di sequenze" aiuta a creare momenti di suggestione e commozione, come ad esempio tutta la parte del viaggio dei due verso la famiglia di Dean. Nei panni del leggendario attore tormentato c'è un nuovo talento del cinema americano, Dane DeHaan, un po' esagerato a dire il vero in tic e movenze che rasentano il calco e l'imitazione pura. Però c'è una bella notizia: semmai ce ne fosse stato bisogno, Robert Pattinson in versione Dennis Stock dà un'ulteriore prova di trasformismo e carisma. Insomma, del vampiro che abbiamo conosciuto tempo fa è rimasto ben poco, ora al suo posto c'è un vero interprete pronto per nuove e sempre più impegnative sfide.
cast:
Dane DeHaan, Robert Pattinson, Joel Edgerton, Ben Kingsley, Kristen Hager
regia:
Anton Corbijn
distribuzione:
BiM Distribuzione
durata:
111'
produzione:
See-Saw Films, Barry Films, First Generation Films
sceneggiatura:
Luke Davies
fotografia:
Charlotte Bruus Christensen
scenografie:
Anastasia Masaro
montaggio:
Nick Fenton
costumi:
Gersha Phillips
musiche:
Owen Pallett