Se c’è una scena che più di ogni altra racchiude il cinema di Avati, essa si trova nel magnifico e obliato "Le strelle nel fosso" (1979), quando la famiglia si reca di notte in solaio per chiedere notizie dei cari estinti al fantasma di un arciprete che fa loro visita a ogni cambio di luna. È già tutto lì: la campagna, la notte, la nebbia, il mistero, affetti perduti in un casolare settecentesco tra le paludi del Polesine. Ed è qui che torna Avati (ma si è davvero mai mosso?), per adattare "Lungo l’argine del tempo: memorie di un farmacista", il memoriale di Giuseppe Sgarbi – padre del famigerato Vittorio.
Quella di Giuseppe "Nino" Sgarbi (Renato Pozzetto/Lino Musella) e Caterina (Stefania Sandrelli/Isabella Ragonese), e del loro amore sessantennale, è storia di vita ma anche storia di morte, dal momento in cui un male si porta via "la Rina". Da qui l’idea di chiamare un cinico ghost-writer romano (Fabrizio Gifuni), dalla vita familiare scalcinata, a ripescare le perle più fulgide dalla memoria stagnante di Nino e comporne una collana di racconti, ricordi, aneddoti, visioni, in grado di trasmettere la sua intima convinzione – che la morte, per dirla con Bufalino, non è che "un paravento di fumo tra i vivi e gli altri", che in fondo lei gli parla ancora.
Per tutta la durata del film Avati gioca con questo paravento in fase di montaggio, alternando improvvisamente i luoghi, gli attori, invocando il delicato rituale del sogno in un cineforum di paese intorno al "Settimo sigillo", o a pesca di anguille sull’argine di una golena. Dopotutto Ipno e Tanato, fin dai tempi di Omero, sono fratelli. Alla vaghezza delle atmosfere fa eco la solidità delle prove attoriali. Spiccano Haber, Sandrelli e i due protagonisti, un Gifuni teneramente mefistofelico e un Pozzetto che abbina allo storico talento deadpan una delicatezza mai vista prima. Notevole passo avanti dalla prova stantia e anacronistica de "Il signor Diavolo", questa nuova tappa del Gotico Padano fa confluire le fascinazioni tipiche della poetica avatiana in un impianto moderno, giocato sul contrasto fra due personaggi (e due generazioni) agli antipodi. Come a voler mostrare che la nostalgia verso un tempo perduto può essere rappresentata solamente attraverso la consapevolezza (anch’essa nostalgica) di una irrimediabile presa di distanza, di una segreta rinuncia.
Al tempo sopravvive solo la narrazione come costruzione di senso, tentativo estenuante di tessere le trame della realtà in un disegno compiuto, perché in fondo, secondo una celebre formulazione di Wilhelm Schapp, "non sono le storie ad accadere nel mondo, ma è il mondo ad accadere nelle storie". Nell’equazione narrativa il memoriale corrisponde allora a questo film, e la casa-museo a questo cinema, preziosa collezione di ricordi, cronoteca di un mondo antico che muore di più ogni giorno che passa, ma rivive ogni volta che lo si racconta.
cast:
Renato Pozzetto, Stefania Sandrelli, Lino Musella, Isabella Regonese, Fabrizio Gifuni, Alessandro Haber, Serena Grandi, Chiara Caselli
regia:
Pupi Avati
distribuzione:
Vision Distribution, Sky Cinema
durata:
100'
produzione:
Duea Film, Bartlebyfilm, Vision Distribution
sceneggiatura:
Pupi Avati, Tommaso Avati
fotografia:
Cesare Bastelli
scenografie:
Giuliano Pannuti
montaggio:
Ivan Zuccon
costumi:
Beatrice Giannini
musiche:
Lucio Gregoretti