Danimarca, 1755. Il capitano Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen), di umili origini, si congeda dopo 25 anni di onorato servizio con il permesso di costruire una fattoria nella sterile brughiera dello Jutland. La scommessa di crescere qualcosa laddove tutti hanno fallito mette in palio un titolo nobiliare che coronerebbe 25 anni di ascesa sociale. Anche le brughiere aride e disabitate hanno i loro padroni, però: il magistrato aristocratico Frederich (de) Schinkle (Simon Bennebjerg) si mette di traverso. L'eterno conflitto tra chi possiede la terra e chi la coltiva sfocia in una escalation di angherie e violenza che coinvolge nobili e plebei, nomadi e sedentari, uomini e donne, opponendo la stoica ricerca di un ordine al potere arbitrario di scatenare il caos.
Tra i punti di forza di "La terra promessa" (traduzione un po' scialba dell'originario danese "Il bastardo", che come vedremo ha un duplice significato), sta la visualità grandiosa ispirata al Settecento, periodo in cui l'Europa sviluppa per la prima volta un interesse pittorico per il paesaggio. Proprio il paesaggio è uno dei due protagonisti del film: nei maestosi campi lunghi la terra si oppone, si sottrae ai disegni grandiosi dei personaggi che vorrebbero colonizzarla, piegarla a schemi privati. Rimane inesorabilmente uno spazio alieno, un orizzonte spoglio in cui ogni sagoma che si avvicina sembra rappresentare un'illusione o una minaccia. L'altro protagonista del film, il coriaceo capitano interpretato da Mikkelsen, schiva le une e le altre con una fierezza impenetrabile, un misto di grazia disadorna e selvatica rozzezza che diventa la personificazione stessa della brughiera.
Con il tempo, il capitano doma il paesaggio, ma anche il paesaggio doma il capitano, estraniandolo dal gioco perverso dei ruoli e delle trame sociali che gli vengono tessute intorno. La macchina da presa realizza tanti ritratti – il sadico (de) Schinkle, la compagna Ann Barbara (Amanda Collin), stoica e vendicativa – che però rispondono più ad archetipi funzionali che a persone a tutto tondo. Le donne in particolare, mostrano un'indipendenza e un'audacia che si confà più alle finzioni postmoderne alla Lanthimos (tipo "La favorita") che al classico period drama (tipo "L'età dell'innocenza"). I continui rovesciamenti rendono la visione avvincente, ma sono anche necessari per movimentare la rigida spartizione del cosmo narrativo in coordinate binarie un po' semplicistiche (nobili e plebei, buoni e cattivi). E il finale formaggioso non aiuta.
Insomma, "La terra promessa" ha l'efficacia, il titolo e purtroppo anche i difetti di una parabola. Il contributo originale alla mitografia Western si risolve più che altro nella sua "danesità", che nella seconda parte cede al fascino internazionale di derive pulp tarantiniane e toni melò da amor vincit omnia. Arcel sa essere evocativo soprattutto nei campi lunghi, quando gli ambienti si colorano, quasi involontariamente, di quelle sfumature fantasy care al suo cinema. Più da vicino si vedono le crepe, e il film crollerebbe sotto il suo stesso peso se non ci fossero le spalle monumentali e il volto d'argilla di Mad Mads, meravigliosamente asciutto e laconico come un Clint Eastwood qualsiasi – e senza nemmeno il cappello.
cast:
Mads Mikkelsen, Amanda Collin, Simon Bennebjerg, Melina Hagberg, Kristine Kujath Thorp, Gustav Lindh
regia:
Nikolaj Arcel
titolo originale:
Bastarden
distribuzione:
Movies Inspired, Circuito Cinema Distribuzione
durata:
127'
produzione:
Zentropa Entertainments, Zentropa Berlin, Zentropa Sweden, Film i Väst
sceneggiatura:
Nikolaj Arcel, Anders Thomas Jensen
fotografia:
Rasmus Videbaek
scenografie:
Jette Lehmann
montaggio:
Olivier Bugge Coutté
costumi:
Kicki Ilander
musiche:
Dan Romer