Ondacinema

recensione di Emanuele Richetti
7.5/10

“Ho visto tutto, tutto” – recitava Emmanuelle Riva nell’indimenticabile prologo di “Hiroshima mon amour” – “come avrei potuto evitare di vederlo? […] Perché negare l’evidente necessità del ricordo?”. Era un film di ricordi, il capolavoro di Resnais sceneggiato da Marguerite Duras, un film di ricordi e attese. Tra Hiroshima, Nevers e un futuro che non si conosceva, né forse si voleva conoscere. Un film su un amore impossibile dove, attendendo il momento dell’addio, si rifletteva sul proprio passato, sul proprio tempo. Un tempo, quale tempo? E quale luogo? Passato e presente si sovrapponevano, i luoghi si confondevano, Nevers e Hiroshima, la Francia e il Giappone, le persone e le cose (“Hiroshima è il tuo nome”). Christian Petzold in “Transit”, adattando l’omonimo racconto di Anna Seghers ambientato durante la seconda guerra mondiale, decideva di spostare l’azione ai giorni nostri, confondeva invece il passato con il presente, la Marsiglia contemporanea con quella del passato. Anche “Transit” era un film di attese, di identità in transito costrette all’interno di città-fantasma, perché uguale era l’incertezza prodotta dalla guerra. La guerra cambia le coordinate con cui gli uomini definiscono se stessi e il mondo che li circonda: per questo ricordare è necessario come necessario è dimenticare. Un passo indietro e uno avanti.

Emmanuel Finkiel riparte da lì, da quella mancanza di sicurezze, per adattare “La douleur” della stessa Duras. Ma riparte anche da Resnais, da quel fluire di pensieri, parole, emozioni; da quel rapporto che il regista francese era riuscito a creare tra i suoni e le immagini, la realtà e la finzione (in una scena sembra proprio di rivedere l’incipit di quell’opera). Certo, non c’è più un racconto contemporaneo, né il tentativo di ibridare passato e presente: “La douleur” è un film in costume ambientato nella Parigi del 1944 occupata dai tedeschi. Marguerite è una scrittrice che, insieme al marito Robert, partecipa alle attività della Resistenza. Nel momento in cui Robert viene però scoperto e deportato, la donna cerca in ogni modo, con l’aiuto degli altri membri del gruppo, di riportarlo a Parigi. E qui il racconto si divide in due blocchi distinti: nella prima parte Marguerite avvicinerà Rabier, collaboratore locale del Governo di Vichy e responsabile dell’arresto di Robert, tentando di scoprire qualcosa di più sulle sorti del marito; nella seconda, collocata alla fine della guerra, la scrittrice attenderà il ritorno dell’uomo tra le mura domestiche, tra infiniti dubbi e tormenti.

La speranza, in Marguerite, si accompagna al dolore e poi alla paura. Nel momento in cui la guerra termina e le strade si riempiono di festanti, ecco che “La douleur” cambia pelle. La relazione perversa e pericolosa con il collaboratore tedesco cessa improvvisamente, sotto i cieli parigini attraversati dagli aerei. Ora Marguerite è impotente, costretta in uno stato d’attesa che sembra interminabile. I reduci dai campi di concentramento lentamente tornano ognuno presso la propria abitazione – ma che fine ha fatto Robert? È ancora vivo? Perché non torna a casa? Cosa gli è successo? Altre donne piangono per il marito perduto, soffrono disperatamente alla notizia che la propria figlia non tornerà più. E non resta che attendere, in una nazione che lentamente sta cercando di rialzarsi, il ritorno degli affetti più cari.

Finkiel riesce a trasmettere l’intima sofferenza della donna grazie a una messinscena di raffinata compostezza: gioca con i “fuori fuoco” per enfatizzare l’alienazione della protagonista, si avvale di espedienti in grado di riprodurre i pensieri reconditi di Marguerite (voice-over, parentesi oniriche), utilizza musiche stranianti – come faceva Larraín in “Jackie” – per accompagnare la narrazione. Al resto ci pensano la straordinaria scrittura della Duras e una bravissima Mélanie Thierry, a cui riesce di rendere credibile il personaggio autobiografico dell’autrice. Un film di grande eleganza, “La douleur”, capace di affrontare con la giusta delicatezza – si veda il modo pudico con cui viene trattata la relazione tra la Duras e Dionys – un tema già ampiamente sviscerato. E che ha il coraggio di concedersi un epilogo ambiguo e spiazzante, in contraddizione con tutta la vicenda appena narrata. Come in “Sussurri e grida”, un momento di felicità e di quiete, l'ultimo prima della fine. E poi?


18/01/2019

Cast e credits

cast:
Melanie Thierry, Benoit Magimel, Benjamin Biolay, Emmanuel Bourdieu, Grégoire Leprince-Ringuet, Patrick Lizana, Anne-Lise Heimburger


regia:
Emmanuel Finkiel


distribuzione:
Wanted Cinema


durata:
127'


produzione:
Les Films du Poisson, Cinéfrance, Michel Merkt, Versus Production, Same Player, Need Productions


sceneggiatura:
Emmanuel Finkiel


fotografia:
Alexis Kavyrchine


scenografie:
Pascal Le Guellec


montaggio:
Same Player


costumi:
Sergio Ballo, Anaïs Romand


Trama
Nella Francia del 1944 occupata dai nazisti, Marguerite, una giovane scrittrice di talento, è un attivo membro della Resistenza insieme a suo marito, Robert Antelme. Quando Robert viene deportato dalla Gestapo, Marguerite intraprende una lotta disperata per salvarlo. Instaura una pericolosa relazione con Rabier, uno dei collaboratori locali del Governo di Vichy, e rischia la vita pur di liberare Robert, facendo imprevedibili incontri in tutta Parigi, come in una sorta di gioco al gatto e al topo. Lui vuole veramente aiutarla? O sta solo cercando di cavarle informazioni sul movimento clandestino antinazista? La fine della guerra e il ritorno dei deportati dai campi di concentramento segnano per lei un periodo straziante e danno inizio a una lunga attesa, nel caos generato dalla liberazione di Parigi.