Se esistono, nel dizionario cinematografico, parole capaci di suscitare un immediato senso di inquietudine, il termine "sequel" è senza dubbio una di queste. Sono rari i casi in cui il secondo capitolo di un'opera di successo risulta in grado di soddisfare le aspettative e sono assai più numerose le volte in cui tali occasioni si rivelano un mero tentativo di porsi sulla scia di un successo economico passato e di spillare qualche sudato quattrino al pubblico, giunto in sala nella speranza (tradita) di prolungare un piacere ormai passato.
Se questo discorso è vero in generale, è ancor più vero nel caso di quei generi che corrono il facile rischio di diventare de-generi, come nel caso del cinema dell’orrore. Le interminabili saghe slasher, che da decenni sfornano sequel, prequel, spin-off e altre metastasi, ne sono il perfetto esempio.
La "trappola del sequel" (così potremmo chiamare questa coazione a ripetere di carattere cinematografico) periodicamente miete le sue vittime. Ed ecco che, ancora impegnati a digerire l'ultimo capitolo dell’interminabile "Halloween", ci ritroviamo ora di fronte a "Don’t Breathe 2".
Visto l’enorme successo di botteghino che aveva accompagnato l’uscita di "Man in the Dark", l’arrivo di un suo secondo capitolo era soltanto una questione di tempo: in questi cinque anni di attesa in molti si saranno chiesti se la creatura di Alvarez sarebbe riuscita a sfuggire alla trappola del sequel. La risposta, purtroppo, è negativa.
Il punto di forza dell’originale "Don’t Breathe" era l’espediente narrativo della cecità del protagonista, che rendeva l'udito il senso privilegiato nella costruzione di un home invasion al cardiopalma, fatto di oscurità, di silenzi e di trappole tese col favore delle tenebre.
Ebbene, la debolezza principale del film di Rodo Sayagues risiede proprio nell'incapacità di gestire questa risorsa narrativa: l'esagerazione delle situazioni drammaturgiche, unitamente a una sceneggiatura frettolosa e poco curata, finisce per togliere credibilità al risultato finale. Così, il protagonista-vendicatore si trasforma in una sorta di supereroe dotato di poteri straordinari, capace di percepire le vibrazioni nell'acqua e di ammansire le belve feroci; scatenato e incontenibile nell'affrontare dei villain stereotipati e macchiettistici, per i quali non si riesce a provare odio, né pietà, ma soltanto un certo imbarazzo.
Se la pellicola del 2016, come già dichiarava il titolo, ruotava tutta sul contrasto tra rumori e silenzi, tra luci e ombre, trasformando così l'handicap del protagonista in un fondamentale punto di forza; questo contrasto è qui totalmente appianato: buoni e cattivi agiscono su uno stesso livello, tanto dal punto di vista ottico quanto dal punto di vista uditivo e le abilità dello spietato veterano divengono così ancor meno credibili.
La sceneggiatura avrebbe inoltre potuto giocare su un diverso concetto, ovvero sull'ambivalenza morale del personaggio del vecchio cieco. Se nel colpo di scena che concludeva il film originale, egli si mostrava infatti in tutta la sua empietà, questo secondo capitolo sembra dimenticarne le colpe, per trasformarlo in un Deus ex machina, capace di rischiare la vita per salvare la giovane ragazza indifesa, che egli stesso aveva rapito. Come un novello Innominato, toccato dalla grazia della propria prigioniera e redento dei peccati del proprio passato.
L'interrogativo etico che questa ambivalenza solleva avrebbe potuto donare spessore psicologico all'opera, ma risulta quasi un accidente di scrittura, lasciato sullo sfondo e mai affrontato. Se l'obiettivo era quello di rendere la riflessione maggiormente introspettiva dunque, purtroppo il risultato è mancato.
"L’uomo nel buio - Man in the Dark" è dunque una pellicola molto diversa dal suo predecessore, la controparte de-genere di un'opera che, incoraggiata dal successo economico e dalle reazioni favorevoli di critica e pubblico, ha voluto perpetuare se stessa senza aver qualcosa da dire.
Forse un rimedio contro la "trappola del sequel" esiste. Esso non può venire dalle case di produzione, che non hanno molte colpe nel voler capitalizzare al massimo un prodotto per il quale hanno investito soldi ed energie.
Ma può venire dall’intelligenza del pubblico, che fortunatamente è ancora libero di scegliere per quale film acquistare il proprio biglietto.
cast:
Stephen Lang, Brendan Sexton III, Madelyn Grace, Bobby Schofield, Steffan Rodry
regia:
Rodo Sayagues
titolo originale:
Don't Breathe 2
distribuzione:
Warner Bros.
durata:
99'
produzione:
Screen Gems, Stage 6 Films, Ghost House Pictures, Bad Hombre
sceneggiatura:
Fede Álvarez, Rodo Sayagues
fotografia:
Pedro Luque
montaggio:
Jan Kovac
musiche:
Roque Baños