La storia è nota. Un agente segreto viene tradito ma sopravvive e si trova ad affrontare la stessa organizzazione che l'ha reso una micidiale macchina da guerra. Combatte contro altri agenti segreti in giro per il mondo risalendo la catena di comando. Non solo avrà la sua vendetta, ma contribuirà a far emergere losche trame. L'avete già sentita. Ma non l'avete vista realizzata così.
Soderbergh rifiuta le regole stilistiche del genere. Nessun trucco per creare adrenalina: niente macchina a mano mossa, nessun montaggio frenetico, nessuna musica metal/techno, nessun ralenti. Gli scontri e gli inseguimenti si basano sulla fisicità della Carano: si avvertono la fatica e talvolta anche il dolore dei protagonisti. In realtà la mossa del regista è giocare con lo spazio così come gli altri giocavano col tempo. Ci sono inquadrature dove la geometria dei mobili e dei muri definisce i vincoli del combattimento, i limiti contro i quali i corpi vengono sbattuti, ai quali ci si aggrappa e sui quali si fa leva per mosse micidiali. Durante gli scontri lo sguardo segue fluidamente il ribaltarsi e scuotersi dei corpi, durante gli inseguimenti vediamo i vicoli di Barcellona spazzati dai movimenti di camera ora laterali ora in profondità, i tetti e le scale di Dublino scomposti in diversi piani di scena. Una sparatoria fulminante quanto complessa è composta all'interno di una singola inquadratura fissa. I tempi assolutamente non lenti ma più ragionevoli del solito usati nelle scene d'azione non consentono solo un repertorio di prese e soffocamenti mai visti, ma anche coreografie più complesse e una tenuta costante della tensione - in più casi vediamo letteralmente il pericolo arrivare. In breve, Soderbergh riesce a rappresentare in modo originale due azioni come il combattimento corpo a corpo e la fuga su cui il cinema si è esercitato fin dalle origini.
La vicenda - intricata ma non troppo - vede come al solito nei film di Soderbergh avvicendarsi numerose star, e se Tatum, Banderas e Kassovitz sono un po' imbalsamati, Douglas se la cava a fare il furbetto, McGregor è inquietante e l'onnipresente Fassbender sempre stiloso: chi l'ha visto in "Shame" sarà molto sorpreso di vederlo uscire dalla doccia con un asciugamano avvolto in vita. Il reparto visivo è coinvolgente, dalla scelta dei diversi tipi di pellicola (che ricorda "La talpa") all'evoluzione dei colori - una Barcellona livida nel ricordo, i caldi interni dublinesi, il blu dello scontro nella villa che sprofonda lentamente nell'oscurità. Stesso dicasi del reparto sonoro, sia nel montaggio (l'uso del silenzio è notevole), sia per la colonna sonora che ti porta dalle atmosfere anni 70 all'elettronica minimale senza sbagliare un colpo. Tutti questi elementi si combinano felicemente in un film d'azione che si segue con soddisfazione, sempre in attesa della prossima svolta, del prossimo scontro, così come dovrebbe essere.
Volendo ci si ferma qui, altrimenti il film offre livelli di lettura ulteriori. In primis il legame, stretto al punto da poterli considerare quasi un dittico, con il sottovalutatissimo "The Girlfriend Experience". Per chi non lo sapesse, quest'ultimo è una godardiana cronaca dell'inizio della crisi economica terminale che stiamo vivendo, vista dagli splendidi occhi di una elegante prostituta interpretata dalla pornostar Sasha Grey. Il legame tra le due opere non è solo questione di attrici non professioniste o di scontro fra i generi, piuttosto di biopolitica. Soderbergh costruisce i film su due donne che nella vita reale sono celebrità in professioni che, pur in modo speculare, si basano entrambe su una spettacolarizzazione del corpo molto maggiore di quella richiesta da una attrice cinematografica standard. Non richiede però loro di interpretare se stesse, bensì donne che svolgono mestieri soltanto affini a quelli originali: la prostituta e la mercenaria. Mestieri antichissimi, ma che della società odierna in particolare sono ingranaggi fondamentali, al punto che si è cambiato loro nome per renderli accettabili (escort, contractor). A tal proposito la scelta di spostare l'ambientazione dalla Cia ai contractor è, oltre che realistica, sottilmente ma gustosamente politica: anche gli intrighi internazionali sono stati privatizzati, quindi la Cia subappalta e se ne lava le mani, anche il lavoro sporco è fondamentalmente un lavoro precario.
I detrattori diranno (come McGregor a un certo punto a Fassbender) che non è presente nessuna motivazione passionale. Del resto questo era oggettivamente il difetto di "Contagion": mentre il raffreddamento della materia narrativa è opportuno se questa originariamente è incandescente, come nel bel primo episodio dedicato al "Che", nel caso di un thriller è invece auspicabile un collegamento emotivo con i protagonisti. Quello che sfugge ai critici, però, è che la Carano è purtroppo robotica nei dialoghi ma trascinante nell'azione fisica - è lì che la sua passione emerge. Come prevedibile dal titolo, insomma, "Knockout" non è il film che vi svela nuove recondite sfumature dell'animo umano - lo stesso Soderbergh ha dichiarato di non aver girato film seri dopo "Che". Si tratta piuttosto di un solido e appassionante action movie e di un ulteriore tassello dello studio di un grande regista sulle possibilità del cinema oggi.
Il 2012 è un buon anno per le spy story.
cast:
Gina Carano, Antonio Banderas, Michael Fassbender, Ewan McGregor, Michael Douglas, Channing Tatum
regia:
Steven Soderbergh
titolo originale:
Haywire
distribuzione:
Moviemax
durata:
93'
produzione:
Relativity Media
sceneggiatura:
Lem Dobbs
fotografia:
Peter Andrews
scenografie:
Howard Cummings
montaggio:
Steven Soderbergh
costumi:
Shoshana Rubin
musiche:
David Holmes