Nella recensione di "Contagion" vogliamo fare un esperimento. Vogliamo provare, infatti, a usare questo film per cercare di capire che cosa si nasconde dietro l'evoluzione artistica di uno dei più singolari autori, ovvero Steven Soderbergh da Atlanta, della "penultima" Hollywood, quella degli ex quarantenni venuti alla luce, professionalmente parlando, nel decennio degli anni Novanta.
Non intendiamo certo snobbare del tutto questa sua ultima fatica, che unisce azione, fantascienza e thriller. Ma è troppo forte la curiosità di tracciare, a questo punto della sua carriera, una descrizione sommaria di chi è davvero il creatore della saga di Ocean, ad esempio. Soderbergh, cui pure non abbiamo risparmiato aspre critiche in passato e che non è certamente uno dei più lodati autori da parte della critica mondiale, è comunque ormai uno dei cineasti, facenti parte della sua generazione, che ha con più forza delineato una sua cifra stilistica, anzi, una sua concezione del cinema. Il suo è un nobile tentativo di fondere, alla ricerca di un ipotetico zenit creativo, l'alto con il basso, l'autoriale con il commerciale, l'impegno civile con il più guascone disimpegno.
Una doppia faccia, insomma, che lo ha portato con questa sua ultima fatica a trovare la sublimazione. E il fatto che, come vedrete dal voto finale, questo suo film non sia particolarmente riuscito, è l'ennesimo indizio di una specie di condanna cui Soderbergh è consegnato dal destino: quella di sfiorare sempre e comunque la perfezione, mancando di poco il bersaglio pieno nella realizzazione del suo cinema. "Contagion" è innanzi tutto un film a più voci, una storia corale che spazia in giro per il mondo, fra gente comune e scienziati disperati, tutti alla ricerca di un antidoto che possa sconfiggere il terrificante virus che sta uccidendo e spargendo terrore fra gli esseri umani. La sceneggiatura e lo stile di messa in scena prescelto dal regista sono quanto di più ambizioso possa esserci. Abbiamo parlato di sublimazione della doppia personalità dell'autore; ebbene, ci troviamo di fronte a una pellicola che unisce più generi, che si divide tra due piani di narrazione, quello emotivo delle persone "comuni" e quello tecnico e scientifico della realtà medica, descritta in verità con estremo realismo e coraggio, proprio perché evita la tentazione di ricorrere a semplici banalizzazioni o semplificazioni del linguaggio professionale.
Poi abbiamo un'ulteriore fusione: quella, appunto, tra i due filoni che storicamente spaccano Hollywood e il cinema americano. Soderbergh tenta l'impossibile: affiancare il lato più strettamente mainstream nello stile narrativo a squarci di cinema d'autore. L'esperimento, purtroppo, ha in gran parte le sembianze di una collisione più che di una felice congiunzione, perché, in una pellicola dalla durata tutto sommato contenuta, intere parti di storia appaiono slegate dal complesso, addirittura alcuni personaggi sembrano delineati più per esigenze calcolate sulla carta che per reali necessità di narrazione (il caso emblematico è quello della dottoressa Marion Cotillard che gira per il mondo).
Insomma, prosegue, tra una caduta e una ripresa, il viaggio nella tradizione, o meglio nelle tradizioni, del cinema americano da parte di Soderbergh. E anche quando, come in "Contagion", punta ad alzare la posta in gioco, commettendo troppi errori di generosità nel perdere di vista il controllo del difficilissimo racconto circolare "globale", merita a nostro parere un'attenzione sia critica che da parte del grande pubblico adeguata alla sua personale e spericolata scelta artistica.
cast:
Matt Damon, Marion Cotillard, Gwyneth Paltrow, Kate Winslet, Jude Law
regia:
Steven Soderbergh
titolo originale:
Contagion
distribuzione:
Warner Bros. Pictures
durata:
105'
produzione:
Double Feature Films, Participant Media, Warner Bros. Pictures
sceneggiatura:
Scott Z. Burns
fotografia:
Steven Soderbergh
scenografie:
Howard Cummings
montaggio:
Stephen Mirrione
costumi:
Nancy Cavallaro, Valerie T. O'Brien, Iliana Sanchez, Amanda Scholl, Senna Shanti
musiche:
Cliff Martinez