Come Benigni con "La vita è bella", così Matteo Garrone in "Io Capitano" aveva di fronte a sé un problema di rappresentazione collegato alla difficoltà di mettere in scena una realtà così tanto analizzata, discussa e mostrata da rischiare di rimanere un passo indietro rispetto all'immaginario corrente; oppure di scavalcarlo con il pericolo di risultare inverosimile. Tenendo presente che il dramma dei migranti rispetto all'Olocausto ha un livello di attualità maggiore, nel suo essere un fenomeno in corso di svolgimento con cui in Italia siamo abituati a confrontarci non solo attraverso giornali e televisioni ma anche nella vita di tutti i giorni, nei mari e sulle coste interessate agli sbarchi. Un carico di concretezza di cui, in "Io capitano", riscontriamo traccia nelle scelte del regista di contaminare la realtà con una dimensione favolistica senza però venire meno all'aderenza con le immagini che testimoniano le cronache dei nostri giorni e, d'altra parte, aprendosi a un'universalità fuori dal tempo che fa della vicenda di Seydou e Moussa - adolescenti senegalesi decisi a raggiungere l'Europa per diventare star della musica - una storia leggibile anche al di fuori delle questioni politiche ed emergenziali a cui è naturale associarla.
Facendo riferimento alla filmografia di Garrone e considerando le caratteristiche appena menzionate, "Io capitano" si presenta come una versione contemporanea del suo precedente lavoro, "Pinocchio", al quale lo lega non solo il viaggio come struttura del racconto, la giovinezza dei personaggi e il desiderio di cambiare la propria condizione, ma anche la similitudine di alcuni passaggi, primo fra tutti il richiamo emotivo nei confronti della figura genitoriale - in questo caso quella materna - e poi la raffigurazione di certi accadimenti: il ritrovamento di Moussa da parte di Seydou, simile a quello del ricongiungimento tra Pinocchio e Geppetto nel ventre della balena e, ancora, i ragazzi nel carcere libico simili a quelli segregati da Mangiafuoco nel paese dei Balocchi. Situazioni la cui improbabilità - si pensi alla maniera in cui Seydou si salva dalle grinfie dei suoi carcerieri, aiutato da un compagno di sventura che ricorda la fatina di Collodi - trasfigurano la realtà spingendola verso una contingenza archetipica propria delle favole.
Lungi dall'essere un film buonista, "Io capitano" non concede alcuno sconto all'orrore dell'esperienza vissuta dai suoi personaggi, presente soprattutto nelle sequenze all'interno del carcere libico, il cui abominio e abiezione riconducono a opere come "Dogman", "L'imbalsamatore", "Primo amore", e dove a farsi sentire è la lezione di Pier Paolo Pasolini. La versatilità di "Io Capitano" e, dunque, la sua capacità di attirare un pubblico eterogeneo consistono anche nel saper essere più cose insieme, di fare dell'eccezionalità presente nella vicenda di Seydou e Moussa non solo materia di riflessione e di denuncia del destino iniquo, ma anche volano di uno spirito d'avventura ormai estinto a causa della sempre maggiore invasività della componente tecnologica. Lo spirito d'avventura è qui capace di mettere in moto una catarsi che si compie anche nella trasformazione dei personaggi, che da vittime diventano eroi per come, a un certo punto, riescono a prendere in mano le loro vite, influenzandone il corso.
Detto questo, a vincere in "Io capitano" è l'essenza di una poesia sentimentale che non ha bisogno di forzare la mano, capace com'è di avvicinare lo spettatore all'esperienza dei protagonisti, riducendo le distanze tra l'ordinario delle nostre vite e l'eccezionalità di ciò che vediamo sullo schermo. Senza contare che "Io capitano", alla pari delle favole che si rispettano, riesce anche a esprimere una sua morale raccontando di come siano gli uomini e non la natura a rendere peggiore il mondo. Garrone infatti ribalta la prospettiva della narrativa ufficiale, facendo del deserto e poi del mare i luoghi della pace e dell'armonia, individuando la minaccia e il pericolo nell'egoismo e nel materialismo degli uomini e non nella presenza dell'ambiente. Così succede nel deserto, in cui la morte è causata dalla guida sconsiderata di chi considera le persone come un oggetto da recapitare in un modo o nell'altro; così accade nelle acque del Mediterraneo in cui non è il mare grosso, peraltro assente, a complicare la traversata quanto piuttosto la mancata risposta all'Sos lanciato da Seydou e, ancora, i conflitti tra gli occupanti dell'imbarcazione. In questo senso il grido di liberazione di Seydou, quello che dà il titolo al film, è anche il nostro, per una volta riconciliati attraverso il film con la verità delle cose e degli uomini.
Presentato in anteprima all'80ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, "Io, Capitano" di Matteo Garrone si candida al premio maggiore. Se riuscirà a riportare il Leone d'Oro in Italia lo sapremo presto. Per il momento il consiglio è quello di andarlo a vedere nei cinema italiani che dal 7 settembre hanno iniziato a programmarlo.
cast:
Seydou Sarr, Moustapha Fall, Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi
regia:
Matteo Garrone
distribuzione:
01 Distribution
durata:
121'
produzione:
Archimede, Rai Cinema, Tarantula, Pathé, Logical Content Ventures, RTBF, Shelter Prod
sceneggiatura:
Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri
fotografia:
Paolo Carnera
scenografie:
Dimitri Capuani
montaggio:
Marco Spoletini
costumi:
Stefano Ciammitti
musiche:
Andrea Farri