C'è una notevole differenza, a parere di chi scrive, tra una qualsiasi forma di spiritualità, di fede, di religione, e il culto a essa relativo, i suoi dogmi, la sua Chiesa, che di tale spiritualità non è spesso altro che un'ipostasi viziata, un sedimento calcificato che ne mantiene le fattezze, ma ne trasforma, ne semplifica o - peggio - ne dimentica il contenuto primordiale. La Chiesa (non unicamente nel suo significato cristiano, ma in quello più universale, che arriva dal greco
ekklēsìa e che significa "assemblea"), non è che lo strutturarsi sociale di una forma di pensiero, di un'idea morale, filosofica o politica che, rispetto a tale struttura, dovrebbe però sempre mantenere un primato. Insomma: dovrebbe essere sempre la Chiesa a riferirsi e a fondarsi sulla sua rivelazione e sul suo ideale originario e mai l'azione religiosa a basarsi sui precetti di una Chiesa emancipatasi dalla propria origine. Da questo scambio di relazione derivano infatti tutti i problemi politici e sociali che le religioni hanno causato, loro malgrado, nel corso della storia.
L'origine dello Ionismo però, ovvero la folle forma di culto creata dai protagonisti di questa commedia e rivolta alla celebrazione del proprio Io, sta proprio nella necessità di radunare un'assemblea, o, per meglio dire, una clientela, che travestita da folla di fedeli possa garantire lo sgravo finanziario alla struttura che ne ospita il ministero, ovvero il Bad&Breakfast romano di cui è proprietario Massimo Alberti (Edoardo Leo). Così Massimo ha la brillante idea di inventarsi profeta e, assieme ai suoi due apostoli: la sorella Adriana e lo scrittorie sornione Marco, si insinua nell'estrema tolleranza religiosa della burocrazia italiana, si inventa il suo proprio credo e ne fissa la regola fondamentale: "Non avrai altro Dio all'infuori di te".
Basti ciò per chiarire che questo terzo lungometraggio di Alessandro Aronadio non ha la capacità (né, credo, la volontà) di porsi come un insegnamento, come un'opera di riflessione, pur ironica, su ciò che la spiritualità dovrebbe essere. Seppur a tratti sembrerebbe che questa forma di introspezione religiosa ionista tenda a prendersi un po' troppo sul serio, soprattutto sul finale dove sembra andare incontro a una facile morale, dai toni per altro assai criticabili (sono questi i pochi momenti in cui l'andamento del film può preoccupare lo spettatore), la
pars destruens e la satira feroce verso le più diverse forme di culto ha alla fine la meglio e risulta essere l'aspetto determinante di tutto il film. Anche il nuovo credo di cui Massimo si fa Messia diventa dunque uno strumento di critica verso le religioni esistenti, o meglio verso le diverse Chiese, troppo spesso dedite alla speculazione e agli interessi economici, più che a dei veri e propri atteggiamenti religiosi.
Riguardo a questa
pars destruens invece, a questa invettiva satirica nei confronti delle diverse fedi che il film prende di mira, il difetto peggiore dell'opera sta probabilmente nel non voler spingere il coltello fino in fondo, nel mantenersi a una conveniente distanza di sicurezza, nell'utilizzare un tono morigerato e contenuto. Dopo dei titoli di testa che montano riprese di vari riti sacri e li ridicolizzano tramite il sottofondo musicale di "Surfing Bird" e dopo una prima parte che non si risparmia in quanto ad allusioni e frecciatine (dalle carte da gioco e il puzzle di Papa Francesco, alla chiusura mentale del Rabbi ebreo, al maschilismo del paradiso musulmano, fino ai continui parallelismi che la voce narrante mette in piedi tra le vicende di Massimo e quelle dei grandi profeti), nella seconda parte la narrazione si appiattisce e si calma e a reggere il gioco sembra rimanere solo il personaggio di Battiston, neoevangelista che minaccia lo scisma nella nuova Chiesa. "Io c'è" fa satira, sì, ma democraticamente, senza la ferocia e la spudoratezza che avrebbero potuto elevare il valore del film, soprattutto in un contesto, qual è quello italiano, in cui la satira religiosa sembra ancora oggi un elemento tabù. Questo aspetto è forse in parte dovuto al passaggio che "Io c'è" sancisce, rispetto al precedente "Orecchie", da una produzione indipendente a una produzione mainstream, con tutti i limiti e i pericoli che ciò può comportare in termini di libertà di espressione. Ciò costringe la pellicola a rimanere tra le strette mura del politicamente corretto, a differenza di quel che avrebbe potuto fare un prodotto straniero, ad esempio inglese, dove questo tipo di comicità è da sempre molto meno osteggiata.
Ma al di là di questo intoppo, l'opera di Aronadio risulta essere un buon prodotto di intrattenimento, che si inserisce all'interno di quella nuova corrente della commedia italiana che ha in "
Smetto quando voglio" il suo riferimento più diretto (non a caso, il personaggio di Leo è ricalcato sul Pietro Zinni del film di Sibilia). Il regista e sceneggiatore romano mette in gioco tutta la sua abilità nello scrivere una sceneggiatura brillante, capace di mantenere il ritmo comico e di adeguarsi al suo cast e ai personaggi, in cui spicca Giuseppe Battiston nel ruolo di un novello San Paolo. L'accennare scherzoso ad altri generi cinematografici (il duello western con le suore) e la particolare cura nel dare un tono alto e profetico alla voce narrante sono alcuni dei tanti piccoli dettagli che vanno a favore di un film che, pur nelle sue numerose imperfezioni, fa respirare una ventata di freschezza. Iniziamo a mettere in conto un possibile secondo capitolo!