Nella filmografia di Paolo Genovese “Perfetti Sconosciuti" è, senza ombra di dubbio, il film della svolta. A dirlo sono i numeri del box office che, con più di 17 milioni di euro d’incasso, ne hanno fatto uno dei film più visti della stagione d’uscita - ancora oggi si tratta della migliore performance al botteghino del regista -, ma anche quelli relativi alle richieste per i diritti di remake sopraggiunte da ogni angolo del mondo. Non solo, perché se il successo mercantile ha vita breve e il più delle volte si trasforma in un peso, per le aspettative dei produttori di replicare il successo, spingendo gli autori a fare sempre lo stesso film, nel percorso filmico di Genovese “Perfetti Sconosciuti” rappresenta anche uno scarto tra il prima e il dopo della sua produzione artistica, da lì in poi sempre più interessata a sviluppare narrazioni meno legate alla contingenza della realtà italiana e vicine a un immaginario collettivo più ampio e onnicomprensivo, in grado di scandagliare i massimi sistemi con storie che travalicano l’esistenza materiale per confrontarsi con ciò che viene dopo.
Così facendo, quella che in “Perfetti Sconosciuti” sembrava una conclusione più originale di altre (commedie italiane), grazie a un colpo di spugna tanto inaspettato quanto efficace nel cancellare i drammatici esiti di una normale cena tra amici, di fatto è diventato l’orizzonte entro il quale il regista romano ama collocare le proprie storie. Un paesaggio esistenziale e sentimentale in cui il realismo lascia progressivamente spazio a situazioni e personaggi che lo trascendono attraversano il mistero e l’inconoscibile che si portano dietro. Così succedeva in “The Place”, con la figura di Valerio Mastrandrea, sottomessa a un compito tanto ingrato quanto necessario come quello di reiterare l’equilibrio tra il bene e il male presente nel mondo; altrettanto capitava in “Supereroi” dove l’amore tra Marco e Anna proiettava gli amanti su un piano più ideale che reale, per dare vita a un’avventura fuori dal tempo e dallo spazio. “Il primo giorno della mia vita” in qualche maniera sembra assumersi il ruolo di definire ancora di più questa poetica per la volontà di connaturare il soprannaturale della storia - relativo alla possibilità concessa ai morti suicidi di ritornare sulle proprie decisioni - all’interno di una concretezza ancora maggiore di quella presente nei passati lungometraggi.
Se è vero che i titoli sopra menzionati ci hanno insegnato la predilezione dell’autore per contesti scelti all’interno dell’ordinario comune alle nostre vite, mai come in tale circostanza il trascendente, legato al potere taumaturgico del personaggio interpretato da Toni Servillo, si manifesta in un quadro di consuetudini narrative ma anche estetiche, riconducibili in un alveo di assoluta normalità e riconoscibilità. Se le premesse del “miracolo” collegato alle vicende di Napoleone (Valerio Mastandrea, candidato a diventare attore feticcio di Genovese), Arianna (Margherita Buy), Emilia (Sara Serraioco) e Daniele (Gabriele Cristini), è relegato fuori campo, circoscritto al gesto suicida messo in opera prima che cominci il film (quello di Arianna, seppur presente, è comunque “invisibile”), ciò che “vediamo” altro non è che il classico percorso di una rinascita individuale e collettiva (perché il messaggio del film è che “nessuno si salva da solo”), destinata a compiersi attraverso l’esperienza di nuove consapevolezze. Una matrice, quella dell’eccezionale presente nelle cose della vita terrena, che il film traduce senza porsi al di sopra dei personaggi e dunque, in assenza di quel bagaglio visivo magniloquente e spettacolare con cui il cinema mainstream (soprattutto americano) fa intuire la presenza del divino.
Al contrario, ne “Il primo giorno della mia vita” il minimalismo - anche delle inquadrature - va di pari passo con la filosofia del film, incentrata su una ricerca di senso che trova nei dettagli più minuti del quotidiano la ragione del nostro vivere. In questa ottica va letto l’anonimato del personaggio interpretato da Servillo, simile al Mastandrea di “The Place” (la battuta “tu hai qualcosa di me”, rivolta da Servillo all’attore romano può essere letta anche in questa direzione), con il quale quello dell’interprete napoletano condivide non solo lo spirito di servizio e il pragmatismo dell’azione ma anche un understatement rintracciabile persino negli strumenti del mestiere, con l’automobile démodé utilizzata dal primo per trasportare i suoi “assistiti” equiparabile all’agenda consunta dal troppo scrivere del secondo. Da questo punto di vista non si può dire altrettanto per la scelta di un cast, composto da interpreti di grido come Servillo e la stessa Buy, utili a continuare la trasformazione della commedia di Genovese, sempre più vicina alle cadenze drammatiche e alle speculazioni filosofiche tipiche del cinema d’autore, e qui chiamati a tenere a bada il pathos insito nei contenuti del film con una recitazione asciutta ma partecipata.
Ed è proprio nella misura di una rarefazione determinata a levare il più possibile sia in termini narrativi, sia nella composizione delle immagini, che “Il primo giorno della mia vita” si espone a qualche critica, riuscendo solo a tratti a essere coinvolgente quanto vorrebbe. A pesare è anche una sceneggiatura preoccupata del funzionamento corale della vicenda ma meno attenta ad approfondire le singole parti, con i personaggi costretti a partecipare più in veste di funzioni narrative che come figure a tutto tondo. Una scelta, questa, che finisce per tenere lo spettatore a una distanza troppo grande per farlo entrare in empatia con le personalità raccontate sullo schermo. Tutto questo senza nulla togliere all’originalità di un percorso poetico che “Il primo giorno della mia vita” concorre comunque a sviluppare.
cast:
Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Margherita Buy, Sara Serraiocco
regia:
Paolo Genovese
distribuzione:
Medusa Film
durata:
121'
produzione:
Raffaella Leone, Andrea Leone
sceneggiatura:
Paolo Genovese, Paolo Costella, Rolando Ravello, Isabella Aguilar
fotografia:
Fabrizio Lucci
scenografie:
Chiara Balducci
montaggio:
Consuelo Catucci
costumi:
Gemma Mascagni
musiche:
Maurizio Filardo