Sulla carta, Valeria Golino che fa la cieca in un film di Soldini può sembrare un'idea presa da "Boris". Per fortuna, Soldini è bravo come sempre, e vedere una sua opera alla fin fine è un piacere. "Il colore nascosto delle cose" è un film in cui per ovvi motivi tutta la dimensione sonora è centrale: Soldini lavora molto sui rumori di fondo, sul montaggio sonoro, sugli scoppi e le chiacchiere senza senso della gente che noi vedenti filtriamo come distrazioni dall'informazione visiva ma che sono (insieme al tatto e all'olfatto) la dimensione spaziale dei non vedenti. La colonna sonora combina suoni artificiali - un ronzio e un ticchettare di "sfondo" che appaiono e scompaiono - e un'intrigante musica elettronica pervasiva ma minimale, con rari inserti di archi - sempre ritagliata alla perfezione con l'immagine. La palette dei colori è un altro aspetto sempre curato nei film di Soldini. Qui abbiamo colori allegri ma desaturati, il che crea un effetto agrodolce molto funzionale alla storia. Dato il taglio intimista della vicenda, Soldini si lancia anche in un per lui inedito formato immagine stretto, all'inizio del film quasi quadrato, che si popola inevitabilmente di primi piani, ben retti dalla Golino e anche, diciamolo, da Adriano Giannini, insolitamente efficace nel ruolo.
Quello che manca al film, volendo dare un giudizio severo, è l'asprezza, il graffio, il salto, la discontinuità. Nei film migliori di Soldini c'è un eccesso da qualche parte - la malinconica poesia della vita veneziana di Bruno Ganz e famiglia in "Pane e tulipani", la dolcezza ferita che si trasforma in feroce tristezza messa in scena da Albanese in "Giorni e nuvole". Ne "Il colore nascosto delle cose", forse anche data la delicatezza del tema, ci si tiene lontani da ogni eccesso, lo si sfiora al massimo (la scena del supermercato, quella del cuscino, che sono infatti le migliori), ma questo giocare sul sicuro è anche un limite per la riuscita piena del film.
I dialoghi, però, sono sempre notevoli. Una distanza sostanzialmente insormontabile tra i dialoghi nella vita e quelli del cinema è che i dialoghi nella vita non hanno una forma compiuta, un inizio, una fine, una frase iniziale che parla di un problema e una finale che da' un senso. C'è chi come Kechiche ottiene l'effetto di immersione nella realtà attraverso il discorso fiume, ondivago, a voci sovrapposte. C'è al contrario chi, come Soldini, non solo mette in scena dialoghi che suonano reali, ma sa benissimo dove tagliarli, cioè con un finale delineato ma senza una vera conclusione. Questa elegante scelta di montaggio rende le discussioni del film simili tanto ai dialoghi che si sentono nella vita quanto ai ricordi che ne tratteniamo, cioè un nucleo centrale con un concetto forte, circondato da frasi frammentarie o non interessanti. Grazie anche a questo si avverte una vicinanza ai protagonisti e alle loro vicende, per quanto lontani dalle nostre storia possano essere. Per tutti questi motivi, anche se non abbiamo un nuovo "Giorni e nuvole" (si misuri ad esempio la distanza tra i due finali), Soldini con questo film continua a collocarsi nella fascia alta della produzione cinematografica italiana contemporanea.
cast:
Adriano Giannini, Valeria Golino
regia:
Silvio Soldini
distribuzione:
Videa
durata:
117'
produzione:
Lumière & Company, Rai Cinema, Ventura Film
sceneggiatura:
Silvio Soldini, Davide Lantieri, Doriana Leondeff
fotografia:
Matteo Cocco
scenografie:
Marta Maffucci
montaggio:
Giorgio Garini, Carlotta Cristiani
costumi:
Silvia Nebiolo
musiche:
Gian Luigi Carlone