Mike Flanagan sospende temporaneamente la sua passione per il sovrannaturale, costante del suo horror ripartito tra incubi ("Somnia"), demoni interiori ("Il gioco di Gerald", "Doctor Sleep") e i riflessi di "Oculus". Tutti elementi confluiti nell’antologia "The Haunting".
"Hush" preferisce essere thriller privo di elementi magici, inserito fin da principio in una casa nel bosco, toponimi del genere introdotti da un movimento di macchina che vi precipita all’interno.
C’è sempre un assedio nei film di Mike Flanagan che mette a soqquadro la vita domestica, privata dei suoi personaggi (femminili).
Alla canonica introduzione da slasher, "Hush" accompagna il suo smascheramento letterale: il killer che circuisce Maddie rivela fin dall’inizio il volto sotto la maschera, oggetto di depersonificazione del male, qui introdotto e immediatamente scartato. Un film che similmente all’interessante "Man in the Dark" (2018) lavora sul frugare e riassemblare le dinamiche degli attanti del genere. Si tratta di una sottrazione degli elementi: mentre Alvarez opera sul villain, Flanagan lo fa sulla final girl [1].
L’impossibilità di Maddie di udire e parlare la rendono una preda funzionale al gioco filmico e a quello del killer, quest’ultimo attendista e dal fisico esile, elementi di scrittura che bilanciano la disparità tra i due.
Flanagan, abituato a strutturare parte delle sue storie nell’indagine dialogica (si pensi a "Il gioco di Gerald" in particolare), stavolta vaporizza questo elemento, pur non riuscendo ad annullarlo significativamente, lavorando sui suoni e sulla prospettiva: la prima parte è strutturata sulla riproduzione del punto di vista di Maddie in un rapporto non totalmente univoco tra lei e lo spettatore. Difatti camera fissa e panoramiche tengono in campo il killer anche quando Maddie non sa di essere osservata, preferendo un punto di vista oggettivo sulla scena.
Rapporto di sguardi che subirà una cesura netta, preferendo la soggettiva della donna, nella decisione del killer di palesarsi alla ragazza attraverso i suoi mezzi di comunicazione, unici strumenti di sicurezza comunicativa per la protagonista.
Per "Hush" risulta prioritario utilizzare e sviluppare le premesse al fine di costruire un meccanismo che richiami la condizione di Maddie. Il sound design e la messa in quadro delle architetture casalinghe richiamano un costante pericolo all’interno dell’abitazione.
Il lavoro sulla tensione cambia dalla seconda metà del film in cui prende il sopravvento la dinamica survival dell’home invasion e Flanagan decide di alzare il ritmo. Nei tentativi di resistenza al killer, il regista opta per un utilizzo movimentato del montaggio e per dei movimenti di macchina molto limpidi, in modo da ricostruire perfettamente le dinamiche in atto. Non c’è dunque un tentativo di stordire lo spettatore con colpi di scena o jump scare, piuttosto viene preferita un’attenta analisi degli eventi (panoramiche, false soggettive alle spalle di Maddie) in una costruzione ripetuta degli stessi.
Siamo all’opposto delle terrificanti ellissi di "The Strangers" con cui Bryan Bertino disintegra gli appigli di sicurezza di chi guarda. Il terrore promanato dal silenzio viene costruito con un frame simile per composizione da parte dei due registi ma con obiettivi differenti: l’immobilità soffocante dell’uomo in maschera in "The Strangers" e il controllo (dello spazio comunicativo e privato, e in questo caso intimo) del killer in "Hush".
Da sinistra: "The Strangers" (Bryan Bertino, 2008); "Hush" (Mike Flanagan, 2016)
La seconda parte di "Hush" sembra una rincorsa alla gimmick, cioè agli espedienti grammaticali (ripetuti) che tengono alta l’attenzione nella sfida tra i due. Risultato efficace che si concede persino un paio di affondi verso la fine: il modo in cui Maddie percepisce la minaccia nel bagno e la proverbiale corsa della vita sotto gli occhi prima della morte, schematizazzione perfetta, quest’ultima, di come Flanagan chieda sempre al genere di farsi discorso di un dramma personale.
C’è spazio anche per la ricostruzione di un what if ludo-narrativo in cui la protagonista immagina il proprio game over (un’anteprima stilistico-narrativa di quanto si vedrà in "Il gioco di Gerald"). Questa costruzione del finale è in realtà una tematica centrale del cinema di Flanagan che sottolinea il desiderio di vita dei suoi personaggi di fronte agli orrrori che sono spesso prima umani o concreti, soltanto secondariamente sovrannaturali (e la serie "Midnight Mass" lo riconferma). Perché "Hush" è appunto un gioco al genere, divertissement gustoso nella filmografia dell’americano.
[1] Il regista ha avuto l’idea dalla visione di "Gli occhi della notte" di Terrence Young in cui la vittima è cieca (Moveablefest.com); e anche "Il terrore cieco" di Richard Fleischer, una Mia Farrow affetta da cecità e un assassino alle calcagna, gli può essere ascrivibile.
cast:
Kate Siegel, John Gallagher Jr., Michael Trucco, Samantha Sloyan, Emilia Graves
regia:
Mike Flanagan
titolo originale:
Hush
distribuzione:
Netflix
durata:
81'
produzione:
Intrepid Pictures, Blumhouse Productions
sceneggiatura:
Mike Flanagan, Kate Siegel
fotografia:
James Kniest
scenografie:
Elizabeth Boller
montaggio:
Mike Flanagan
costumi:
Lynn Pelzman
musiche:
The Newton Brothers