L'horror sta cambiando pelle. Come si era già accennato
in passato.
Cambiare pelle, si è detto. Mutare. Non è un caso che "Honeymoon" sia un film
sulla mutazione, oltre che
della mutazione. Il genere horror d'altronde ha sempre avuto a che fare con la trasformazione del corpo e con tutto ciò che è
mostruoso (anche e soprattutto in senso etimologico), dai
"Freaks" di Browning fino al body horror di
Cronenberg, subendo però un considerevole sviluppo in questa direzione proprio a partire da quest'ultimo cineasta, il quale ha esplicitato come nessuno prima la tematica sopraccitata rendendola fisicamente visibile in scena nei più disparati modi. Medesimo lavoro compiuto dal regista canadese sulla sessualità e la fobia della stessa, insita nel cinema dell'orrore già dai tempi di
Murnau ma divenuta pienamente centrale solo fra anni 70 e 80, parallelamente all'affermazione dello
slasher. Genere che dopo più di vent'anni pareva morto a causa di remake e decostruzioni teoriche ma che nei tardi 2000 ha ricominciato a fare occasionalmente capolino in pellicole interessanti.
"Honeymoon", in realtà, non ha in comune quasi nulla col genere di epigoni di "Halloween", se non fosse per quello che ne è uno degli aspetti pregnanti: l'ambientazione. Difatti la solitaria luna di miele della coppietta al centro della vicenda si tiene in uno chalet isolato fra i boschi oltre il confine canadese, nei pressi di un laghetto, che d'altronde sono gli unici luoghi in cui si sviluppa il film. Un
Altro fin dall'inizio. E se gli unici altri personaggi presentati nella pellicola (ancora una coppia, stavolta di residenti) possono essere ascrivibili per certi versi allo stereotipo del "campagnolo/
redneck" non è da essi (diversamente da quanto pensato dal protagonista maschile) che viene la minaccia per i due giovani, presentata già dopo pochi minuti e mai definita del tutto, quanto da figure misteriose (alieni ?), rappresentazione quanto mai diretta di alterità assoluta (e anche in questa forse pretestuosa cripticità si può rintracciare uno dei tratti ricorrenti di certo horror contemporaneo).
Questa distanza delle "creature" rende palese che, nell'ottica della regista esordiente, il vero pericolo per la coppia (e per la sua integrità, sia in senso fisico che figurato) risieda in essa e nelle differenze irriducibili tra i suoi membri (rivelante è in tal caso il prefinale). Pertanto se (dopo un'introduzione guarda caso in
found footage che già li mostra separati tra quadri diversi) l'arrivo iniziale di Bea e Paul (questi i nomi dei due) nella casa viene mostrato con un fluido pianosequenza che volteggia loro attorno e li inquadra solitamente assieme, terminando poi con un amplesso, Leigh Janiak comincia subito a rimarcare le notevoli differenze fra i due, ampliando anche il campo per mostrarne il distacco sempre maggiore (e infatti finiscono per dormire separati). Conseguenza dell'allontanamento della coppia è la mancanza di attività sessuale (così spontanea ed esuberante all'inizio), cui ogni tentativo d'approccio successivo evidenzia la mancanza di simmetria nel rapporto che istituisce (si sfiora lo stupro) e termina con una rivelazione sconcertante (e forse un po' "gratuita") che tanto deve al già citato Cronenberg. E se in quel momento l'alterità dell'altro è ormai innegabile non si può che constatare quanto anche gli stessi personaggi siano mutati in sé, divenendo quasi l'opposto di quanto mostravano, e affermavano, nella prima parte.
Tale mutazione rende ambedue i protagonisti "mostruosi", seppur in modi molto diversi, dimostrando quanto "Honeymoon" sia leggibile in primo luogo come un dramma dell'alterità ed dell'incomunicabilità, piuttosto che una parabola di affermazione e maturazione femminile (salvo considerare inaspettate derive post-umane dell'autrice). Senza scomodare Antonioni (e Ferreri, cosa che invece pare la regista faccia) si constata facilmente quanto tali tematiche siano ampiamente trattate nell'età corrente, me ben poco presenti nel cinema "di genere" coevo, con la notevole eccezione di alcuni recenti horror. Non è difficile infatti avvicinare l'esordio di Janiak con
quello di Jennifer Kent e con l'
opus n°2 di Mitchell e non soltanto per la centralità che danno alla protagonista femminile e per il medesimo anno di produzione (ma la prima è stata la più sfortunata dal punto vista distributivo, con scarsi incassi in patria, e una distribuzione tardiva e in home video in Europa). Perché oltre al focus su ben pochi personaggi e al medesimo mood funereo e apocalittico, palese nella boschiva ambientazione spoglia e cupamente fotografata e nell'abitato lacustre desolato, tutti e tre concettualizzano il corpo, posto al centro della loro riflessione, rendendolo il tramite per la manifestazione dei propri nuclei microtematici specifici (il disgregamento delle relazioni qui, l'elaborazione del lutto e le difficoltà dell'essere sociale in "Babadook" e tutte le possibili speculazioni adolescenziali e metacinematografiche in "It Follows") e per l'alterità stessa, ricorrendo, ovviamente, al sesso come causa scatenante.
Lungi dall'affermare che il 2014 sia stato l'ipotetico
anno zero di un "rinascimento horror" alla luce dell'autorialismo e della ripresa (attualizzante) del body horror e dello slasher non si può negare la vicinanza tematica e la probabile importanza nel genere di riferimento di tali pellicole (sorge spontaneo citare anche il poco più recente e ancor più algido e minimale
"The Witch"), fra le quali "Honeymoon" potrebbe rischiare di venire sminuito a causa della minore compattezza stilistica (ma si è già accennata l'abilità di Janiak nel mettere in scena il disgregarsi della coppia) e dei (pochi) momenti di difficoltà in cui incappa lo script quando deve caratterizzare il mutare dei rapporti fra Paul e Bea. Ma in realtà il film potrebbe facilmente assumere un ruolo epitomico all'interno di questo "nuovo horror", lontano sia dall'inequivocabile esplicitazione della metafora di "Babadook" che dalla codificazione in una poetica già manifestatasi di "It Follows", essendo un complesso film in cui dispositivi "di genere" e tratti autoriali convivono e danno manforte alle tematiche e agli stilemi al centro di questo cinema che ora appare sempre più florido e interessante, come d'altronde si può forse dire dell'horror in generale. In questa prospettiva la frase pronunciata da Bea in esergo e specularmente nell'
explicit può assumere una significante valenza metacinematografica. Questione di fiducia.