"Supereroi con superproblemi". È il
diktat della Marvel di Stan Lee. Ma John Hancock, l'ultimo supereroe del grande schermo, inventato
ex novo per l'occasione e cucito su misura sul divo Will Smith (bravissimo, non ci stancheremo mai di dirlo, ma che si scelga copioni migliori!), più che ai personaggi comuni e "indifesi" della "Casa delle idee" pare avvicinarsi alla sensibilità del Superman della concorrente DC (e, inevitabilmente all'ultimo, incompreso, film sull'uomo d'acciaio diretto da Bryan Singer). Perché Hancock non è null'altro che un Superman di colore, un "alieno", un "dio", che non sa bene che cosa debba fare sulla terra, e si interroga sul proprio scopo. Con la non indifferente differenza che al contrario del suo elegante cugino dal mantello rosso, Hancock beve e si ubriaca dal mattino alla sera, insulta i ragazzini, e, goffamente, durante le sue "gesta eroiche" provoca più danni che benefici. Con tutta la città contro che fare? Assumere un consulente d'immagine, ovvio!
Inizialmente "Hancock" doveva intitolarsi "Tonight He Comes", la regia era stata affidata al sommo Michael Mann, e il tono della pellicola nelle intenzioni degli autori doveva essere tutt'altro che allegro e scanzonato. Ed è impossibile non vaneggiare sul tipo di prodotto che sarebbe scaturito da queste premesse. Ma la storia è andata in modo diverso: Mann è rimasto in qualità di produttore (tanto per battere cassa), la scelta del regista caduta sul versatile, quanto anonimo, Peter Berg ("Cose molto cattive", "Il Tesoro dell'Amazzonia", "The Kingdom"), la sceneggiatura alleggerita e semplificata, in modo da non disturbare nessuno. La pellicola di Berg, tuttavia, è confusa e nevrotica come il suo protagonista e rischia di non accontentare nessuno: parte come una commediaccia dai toni grevi e caciaroni, nel tentativo di decostruire i
cliché supereroistici a cui le masse sono abituati (in una sequenza Hancock-Smith infila la testa di un malvivente nel deretano di un suo nerboruto compare, e questo è il livello medio delle gag del film, quindi non c'è da stare tanto allegri).
Poi, improvvisamente, dopo un colpo di scena abbastanza risibile (e facile da prevedere) la musica cambia, e il "divertimento" della prima parte lascia spazio a riflessioni semiserie e superficialotte sull'immortalità, l'amore, la necessità di eroi in cui credere e fare affidamento. La sceneggiatura, però, è incapace di bilanciare questi due diversi livelli strutturali e annaspa tra effetti visivi mal utilizzati (il lato spettacolare della pellicola si riduce giusto ad un paio di mediocri sequenze, tutte, tra l'altro, già visibili nel trailer), humour rancido e romanticismo all'acqua di rose. Difficile comprendere, poi, perché Berg (forse influenzato dal "padrino" Mann? O forse dalla moda dei recenti, esagitati, film sull'agente Jason Bourne?) abbia deciso di girare un prodotto indirizzato innanzitutto al grande pubblico e alle famiglie, con uno stile tedioso quasi da cinema-verità, pieno di zoom, primi piani, immagini sfocate e macchina a mano, manco fosse Lars Von Trier.
Facile la scappatoia dell'"occasione mancata". In realtà "Hancock" è un brutto, arido, film e basta, uno di quei prodotti realizzati nelle catene di montaggio della major, pronti e impacchettati per la prima serata in Tv. Chi snobba i film sui supereroi, aimè, avrà una ragione in più per farlo. Se volete ricredervi magari in qualche sala danno ancora "
Il cavaliere oscuro" o "
Hellboy II".