But all I found was cigarettes and alcohol"
Mi si perdoni la banalità della citazione ma mi appello all'utilizzo a sua volta banale fattone nel film, ovviamente volto a fornire fin da subito una caratterizzazione stereotipica della comunità dentro la quale si sviluppa (in parte) la vicenda e soprattutto il suo eccessivo protagonista. La citazione della celeberrima "
Cigarettes and alcohol" degli
Oasis infatti ammicca in maniera abbastanza palese ad un ben preciso immaginario britannico, quello dei sobborghi popolari in cui la vita è composta fondamentalmente (perlomeno per la
fiction) da sovvenzioni per arrivare a fine mese, tifo sfegatato, sesso promiscuo e, soprattutto, alcol. Tutto ciò è Grimsby. Non devono pertanto apparire inattese certe scelte registiche che caratterizzano la cittadina "riqualificata" servendosi di accorgimenti cari al filone "realista" che così tanto ha dato al cinema britannico. In effetti l'uso (abuso) di macchina a mano, l'audio in presa diretta (?) e il focus sui dettagli del quotidiano possono apparire anomali all'interno di un film che si presenta come l'ennesimo frutto dell'estro di Sacha Baron Cohen ma vengono immediatamente controbilanciati, dopo l'entrata in scena del personaggio di Mark Strong, dall'ipercinetico stile delle sequenze
action (che si lascia andare a lunghe riprese in soggettiva e a un turbinio di
dronecam) e dai frammenti terribilmente melodrammatici (e patinati) dei ricordi d'infanzia dei due protagonisti.
Compreso ciò ogni dubbio passa e lo spettatore rincuorato già pregusta la politicamente scorretta performance di Cohen, ancora una volta impegnato con un nuovo personaggio, un nuovo genere di partenza, un nuovo bersaglio per la sua satira. Ma a sorpresa è proprio questo il versante in cui "Grimsby" mostra le sue maggiori debolezze e la futilità dell'intero progetto. Infatti Cohen diverte molto meno del solito, spingendo ancor di più sul pedale della comicità più greve e del
politically incorrect più prevedibile. E quindi meno efficace. Infatti il cambio di genere e oggetto di satira non ha per nulla giovato al comico inglese, il quale nel criticare la
working class britannica e al contempo le ipocrite convenzioni dei più abbienti dimostra di aver perso quasi del tutto la capacità di
graffiare e di conseguenza si trova costretto a ricorrere al suo vastissimo armamentario di gag e battute che dovrebbero colpire il buon gusto degli spettatori a forza di fluidi corporei e situazioni fin troppo (volutamente) prevedibili. Ne consegue che Cohen, come altri prima di lui, risulti molto meno efficace quando rivolge la sua satira verso ciò che gli è ben noto rispetto a quando lo fa con l'
Altro (per quanto sia preoccupante che si reputi tale un
austriaco). Sia chiaro: alcune situazioni nella loro assurdità finiscono per strappare un sorriso e certe gag (come quelle concernenti il ragazzino israelo-palestinese paralitico e con l'HIV) divertono e mostrano che il protagonista (e sceneggiatore) della pellicola non ha perso totalmente il proprio smalto. Ma di certo che a voglia di mangiarsi le unghie si sta scarnificando.
Probabilmente la causa principale della perdita del vigore satirico dell'intero film è attribuibile al cambio di genere e alla definitiva adesione alle convenzioni del cinema di finzione popolare. Infatti già "
Il dittatore" conclamava la tendenza alla normalizzazione stilistica apparsa fin dai tempi di "Borat" ma riusciva, in virtù della tutto sommato riuscita satira dei potentati medio-orientali (e ancor più del modo in cui gli occidentali li vedono) e della funzionale regia dell'ex-sodale
Larry Charles, a mantenere a livelli piuttosto elevati la verve del comico londinese. Ciò non accade in questo film principalmente a causa dell'inadeguatezza di
Louis Leterrier, finora alle prese solamente con film d'azione di dubbio valore, la cui mano non sempre rispetta i tempi comici delle varie gag e mescola i vari registri narrativi in modo così dozzinale da far naufragare il film dopo non molti minuti. Il fatto che ciò sia probabilmente voluto per esacerbare l'assurdità del prodotto non giustifica ma semmai rende ancora più biasimevole il regista. A riprova di ciò vi è lo stucchevolmente retorico prefinale, il quale, costringendo lo spettatore ad adottare definitivamente il punto di vista dei disadattati di Grimsby, rivela che le sequenze precedentemente drammatizzate in maniera eccessiva per irridere un certo genere di film erano forse la spia della successiva resa alla prevedibilità e alla banalità e quindi a ciò che di certo non può essere
scorretto. Basti confrontarlo con lo stesso finale di "Borat" per comprendere come il cinema di Cohen, in mano ad un
director evidentemente meno affine, sia incorso nella perdita della sua identità, la quale si sostanziava (e non solo si serviva) nell'anarchismo pseudodocumentario dei suoi primi film, ben prima che il
mockumentary divenisse la panacea di tutti i mali per il cinema "di genere" più deteriore (
con alcune eccezioni, certo). Per l'appunto il frammentismo e la voluta incompiutezza che lo stile dei primi film con Charles richiedeva facevano perfettamente il paio con l'irriverente satira episodica del comico e ne erano la garanzia. Senza quello resta ben poco. Sicuramente troppo poco per un film.