"Religiolus" è un film sbagliato.
Sì, buon documentario stilisticamente parlando, pochi acuti ma anche pochi passi falsi a livello di regia, dei produttori con alle spalle lavori inconsueti e coraggiosi come "A scanner darkly" e "Requiem for a dream".
Ma, dopotutto, con un po' di mestiere sulle spalle chiunque potrebbe tranquillamente sobbarcarsi l'onere di mettersi dietro la macchina da presa di un documentario.
No, "Religiolus" è sbagliato perché propone una tesi, ne dimostra un'altra, e conclude rivendicando per sé il merito di esser riuscito a dimostrare quell'assunto iniziale del quale poi si è disinteressato, percorrendo strade parallele, ma non sovrapponibili, alla strada che dichiarava di voler intraprendere.
Il comico Bill Maher, crasso latore di un politicamente scorretto volgare e tracotante ma che pare vada di gran moda nell'
elite liberal del mondo occidentale (i benpensanti che stigmatizzano le risate inopportune in un qualsiasi Grande Fratello si sono spellati le mani al cospetto della sistematica ridicolizzazione degli intervistati del film), novello
maitre a penser in una società che delega i comici e gli attori quali creatori e forgiatori del comune sentire delle cose, vuole dimostrare che le grandi religioni monoteiste sono "una litania di stronzate sbagliate", come delicatamente osserva nelle sue conclusioni, una sorta di "disturbo neurologico" del quale è affetto chi le professa.
Ma Maher decide di "giocare in casa", per usare un termine calcistico, e di confrontarsi non con grandi teologi e pensatori, ma, di volta in volta, con camionisti (sic!), improbabili pastori di chiese per gay da risanare, impresentabili figuri che si professano quali discendenti di Cristo.
Il dialogo più profondo sulla vita di Gesù è così condotto con un figurante che lo rappresenta in una specie di Disneyland della Florida, dove per pochi dollari viene ricreata la “vera Terra Santa” e si può assistere una volta al giorno ad un'autentica crocifissione.
È curioso come, per confutare le bizzarre tesi di questo coacervo di chiese che con i grandi monoteismi hanno veramente poco a che fare, si faccia proprio leva sulle opinioni dell'unico prelato della gerarchia cattolica che Maher ci presenta lungo la pellicola.
Un efficacissimo, per quanto svilente ed umiliante (resta da determinare se l'umiliazione la subisca l'intervistato piuttosto che l'intervistatore), attacco alle derivazioni "laiciste" delle grandi religioni rivelate, incorniciato subdolamente in una condanna della religione
tout court.
Il lettore stia attento, anche il più piccolo barlume di fede lo renderà "un favoreggiatore, tipo le mogli dei mafiosi".
12/02/2009