La Battaglia dell’Atlantico ha ispirato film memorabili, sebbene tendenzialmente isolati, essendo prevalse di gran lunga, negli ottant’anni di cinema sulla Seconda guerra mondiale, le opere incentrate sul conflitto combattuto sulla terraferma (o, al più, sull’altro fronte oceanico, quello fondamentale del Pacifico). Il primo importante film di combattimento sull’Atlantico è "La battaglia di Rio della Plata" (1956), con cui Powell e Pressburger raccontarono le vicissitudini occorse alla corazzata tascabile tedesca Admiral Graf Spee, salpata prima della dichiarazione di guerra e trovatasi coinvolta nella prima grande battaglia navale del secondo conflitto mondiale. Un anno dopo, con "Duello nell’Atlantico", Dick Powell portava sul grande schermo l’incontro-scontro tra un cacciatorpediniere americano e un sottomarino tedesco, ma anche, contemporaneamente, il canto del cigno dello spirito cavalleresco in ambito militare, con la sottolineatura della diversità ontologica tra i combattenti di terra e quelli di mare, gli unici che ancora rispettavano quelle regole di fair play valide per la Prima guerra mondiale e immortalate da Jean Renoir ne "La grande illusione". Nel 1981 arriverà poi un classico della guerra sottomarina, il "Das Boot" di Wolfgang Petersen, opera di un’efficacia ineguagliata, che ancora oggi richiama grande attenzione, cinefila e non solo, tanto da aver ispirato una recente serie tv.
In un panorama dunque piuttosto scarno (non sono molte altre le pellicole degne di menzione) tenta di dire la sua questo "Greyhound - Il nemico invisibile", film diretto da Aaron Schneider e scritto e interpretato da Tom Hanks, che trae lo script da un romanzo di Cecil Scott Forester, scrittore specializzato in opere di letteratura militare navale e nei cui confronti Hollywood era già debitrice per il soggetto di "La regina d’Africa" di John Huston. In questo caso la sceneggiatura si limita a raccontare le fasi principali di una serrata battaglia tra un cacciatorpediniere americano - il Greyhound del titolo, capo scorta di un convoglio di una quarantina di navi dirette in Inghilterra - e un branco di sommergibili tedeschi, i famigerati U-Boot.
È noto come già prima dell’ingresso degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale gli americani si fossero dati un gran da fare ad aiutare i cugini inglesi, trasportando rifornimenti e approvvigionamenti di vario genere attraverso l’Atlantico. Dopo Pearl Harbor dovettero sobbarcarsi anche l’onere della scorta militare di quei convogli, prima appannaggio di inglesi e canadesi. E il capitano di corvetta Ernest Krause, comandante del Greyhound, è infatti al suo primo incarico di tale specie, buttato subito nella mischia a combattere nemici che avevano dalla loro un paio d’anni abbondanti d’esperienza. Nemici che si accalcano nel cosiddetto black pit, la zona centrale dell’Atlantico, che proprio per tale motivo è al di fuori della copertura aerea americana - da un lato - e inglese - dall'altro -.
Una difesa, quella aerea, la cui mancanza si fa sentire terribilmente per ogni minuto trascorso in quel tratto di mare in cui si è, di fatto, in balia di un nemico invisibile, come recita il titolo italiano dell’opera, che si riserva la consueta specificazione del titolo originale. Un nemico che aspetta la notte per attaccare le sue prede, nella speranza di gettarle ancor di più nel panico.
L’ambientazione scenica, quasi esclusivamente in mare aperto - se si eccettua un prologo sentimentale troppo breve per aggiungere qualcosa di significativo -, è quasi sempre osservata dal punto di vista del Greyhound, con l’eccezione di qualche ripresa aerea e di alcune oggettive fuori bordo che mostrano il cacciatorpediniere impegnato in manovre ai limiti della verosimiglianza ingegneristica, in un mare spesso agitato e letteralmente cavalcato dalla corvetta.
Tom Hanks è sicuramente efficace nel suo ennesimo ruolo di eroe in divisa, quello del capitano Krause, ben più di quanto lo sia la sua sceneggiatura, che limita le caratterizzazioni al minimo sindacale per inseguire le scene madri, mediante ellissi o concatenamenti ai limiti dell’improbabile (l’attacco a una nave del convoglio un attimo dopo la fine della cerimonia funebre). La stessa figura del comandante - quella che, inevitabilmente, finisce per catalizzare l’attenzione dello spettatore, per il minutaggio che gli è dedicato e per l’indiscutibile ruolo di assoluto protagonista in mezzo a una sequela di comparse - è sviluppata più per merito della recitazione che della sceneggiatura, la quale stenta a far emergere i conflitti interiori e le angosce di un personaggio che si trova a combattere un nemico di tale pericolosità al suo primo incarico bellico. Ma soprattutto, in "Greyhound" si intravede il rischio che il protagonista-personaggio finisca per diventare l’ennesima variazione sul tema del protagonista-attore, ossia sul discorso che Tom Hanks porta avanti, ormai da decenni, su se stesso quale interprete di personaggi che hanno una connotazione abbastanza univoca, quella dell’eroe integerrimo, stoico, di poche parole, che cerca di gestire situazioni avverse senza scomporsi più di tanto (dal Jim Lovell di "Apollo 13" al capitano Miller di "Salvate il soldato Ryan", dal Captain Phillips dell’omonimo film al Chesley Sullenberger di "Sully", per citare alcuni degli esempi più significativi).
Se ciò si manifesta in maniera abbastanza evidente, altrettanto vero è che con un protagonista di quel calibro, che può recitare col pilota automatico inserito (per la sua bravura, ma anche e proprio perché si trova a doversi confrontare sempre con lo stesso personaggio), il regista Aaron Schneider, ex d.o.p., può dedicarsi a ciò che gli è più congeniale, una messa in scena che è innegabilmente di buon livello, sebbene non memorabile come quella di "Get Low", suo esordio al lungometraggio che – come questo "Greyhound" – abbinava un’ottima recitazione e un ottimo reparto tecnico (soprattutto la fotografia) ad una storia non del tutto convincente, lì perché mal sfruttata, qui perché troppo convenzionale. Perché "Greyhound" adotta la consueta narrazione, manichea e stereotipata, dei buoni che affrontano e sconfiggono i cattivi, con l’accompagnamento musicale fortemente retorico di una colonna sonora che vira sui toni melensi del war movie epico dopo una buona prima metà in cui era prevalso un sottofondo di taglio thriller (perché in fondo "Greyhound" resta un "war thriller" alla "Dunkirk", nei confronti del quale il film di Schneider ha più di qualche debito concettuale e visivo).
La distribuzione in streaming di un’opera che era destinata alla sala per il mese di marzo 2020 ha poi forse fatto perdere uno dei principali motivi di interesse che un film di questo tipo poteva destare, quello di gustarsi sul grande schermo novanta minuti di – sicuramente efficace – battaglia sui mari, ricca di suspense e di una tensione che si taglia col coltello, tecnicamente ben rappresentata e con un comparto vfx che affronta una sfida complessa senza mai sbrodolare. Ma se il film non è finito in sala non è certo colpa di Schneider, né di Tom Hanks, ovviamente.
cast:
Tom Hanks, Elisabeth Shue, Stephen Graham, Matt Helm, Rob Morgan
regia:
Aaron Schneider
titolo originale:
Greyhound
distribuzione:
Apple
durata:
91'
produzione:
Sony Pictures Entertainment, Stage 6 Films, Bron Creative, Zhengfu Pictures, Sycamore Pictures
sceneggiatura:
Tom Hanks
fotografia:
Shelly Johnson
scenografie:
David Crank
montaggio:
Mark Czyzewski, Sidney Wolinsky
costumi:
Julie Weiss
musiche:
Blake Neely