Il progresso ci ha regalato tante belle cose e molte altre ne aspettiamo per il futuro: il filtro anti-spam, la penna a sfera, la ruota, l’anestesia dal dentista, le astronavi e l’evidenziatore giallo.
Riguardo la programmazione dei film nei Festival, invece, non abbiamo fatto grandi passi in avanti: lo spettatore, uomo di buona volontà, si studia il programma, si prepara un’agenda, cerca le storie tra titoli sempre sconosciuti con la speranza che non lo deludano ma, alla fine, sono più le sole che si guarda dei film almeno decenti.
Tennessee, autunno, inizi degli anni 30.
Felix Bush è un vecchio bastardo, brontolone e solitario. Da 40 anni si è esiliato nella sua stamberga diroccata e saluta a colpi di fucile chiunque provi a fargli visita.
Felix è una leggenda, una sorta di orco che uccide i viandanti e siccome non si è mai trovato un cadavere, è dato per certo che se li mangia pure.
Felix si sente prossimo alla resa dei conti finale, quella con Dio, e decide di conseguenza di organizzare un Funeral Party con tanto di balli, canti, rinfreschi e lista di invitati.
Due sole condizioni: è invitato solo chi ha una storia da raccontare di cui è stato protagonista; secondo dettaglio: lui ci sarà. Da vivo.
Dopotutto, scommettere su “Get Low” non è stata un’impresa particolarmente coraggiosa.
Già da solo, il cast è di quelli stellari: Robert Duvall (Felix Bush), Bill Murray (Frank Quinn), Sissy Spacek (Mattie), Lucas Black (Buddy), Bill Cobbs… La trama ci ha messo il resto e così, alla fine della fiera, sono riuscito a vedere un film riuscito.
Frank (Bill Murray) è il titolare dell’agenzia di pompe funebri, quella che gestirà il grande evento, il Funeral Party. La recessione (siamo in pieno post-1929) e l’enorme quantità di denaro che Felix è disposto a pagare (i risparmi di una non-vita, mucchi di dollari unti e bistrattati) lo trasformano nell’”evento dell’anno” in quanto l’azienda di Frank non se la passa bene e in più nel Tennessee la gente è refrattaria alla morte.
Evidentemente, l’auto-esilio di Felix è strettamente legato al Party che vuole mettere in piedi.
Felix ha uno straziante segreto che si è portato dentro per tutta la vita ma che non ha intenzione di portarsi anche nella tomba. Il funerale da vivo assume così una funzione di “psicodramma”, una discussione pubblica che farà da levatrice alla verità e potrà riconciliare il burbero vecchietto col proprio passato, a cominciare dalla sua antica fidanzatina, Mattie, la splendida Sissy Spacek che già a suo tempo ci rapì il cuore ne “
La rabbia giovane”, capolavoro di Terrence Malick.
Missione compiuta, dunque. La storia, pur non originalissima, è ben raccontata con la polifonia, la tecnica di elevare a protagonisti ognuno degli interpreti. Una scelta saggia, dato il calibro degli attori.
Il film, girato in
alta definizione, restituisce bene gli autunni del Tennessee, dominati dalle tonalità dei verdi e dei rossi degradati in “natura morta”, come ce li mostrava Hitchcock in pellicola.
Fatta salva una certa piattezza che comunque insiste, permane, tra la risoluzione in pellicola e quella in video, la mano del direttore della fotografia, David Boyd, se l’è cavata egregiamente sia nelle scene di massa e movimento (la festa, l’incendio, i
camera-car con la macchina da morto) sia nell’incorniciatura dei volti.
Robert Duvall è straordinario nel dare vita a Felix, personaggio drammatico e comico allo stesso tempo, fisicamente possente (le sparatorie col fucile, le scazzottate) ed emotivamente delicato (i duetti imbranati con Mattie).
Ci ha fatto particolarmente piacere vederlo in scena insieme a Bill Murray, maschera attoriale complessa che, spostando la cinepresa anche di un solo millimetro, può trasformarsi da comica a tragica. Certamente due grandi attori, che hanno forse ricevuto meno di quanto abbiano dato e nel cui club ci aggiungiamo decisamente lo sguardo da quindicenne maliziosa e candida di Sissy Spacek.
Opera prima di Aaron Schneider (che ha però già vinto un Oscar col cortometraggio “Two Soldiers”) che si impone come un regista da tenere d’occhio.
Sapremo nei prossimi giorni il verdetto della XXVII edizione del Torino Film Festival. Si può scommettere l’attribuzione di qualche riconoscimento.
Di certo, anche la scienza si fregia di un altro progresso: grazie a “Get Low” sarà possibile, magari tra qualche anno, formalizzare la metodologia per costruire il “calendario perfetto” dei Festival.
18/11/2009