Prosegue col quarto capitolo la saga del MonsterVerse iniziata nel 2014 con lo smisurato "Godzilla" di Gareth Edwards. La collisione tra i due mondi di proprietà Legendary/Warner ha dato vita a un universo blockbuster alternativo alle pagine supereroistiche del cinema occidentale, scommettendo sul ritrovato genere del monster movie ad altezza kaijū.
Nella recensione ci saranno lievi spoiler seppur sotto forma di accenni ad eventi chiave di tutto film per finalità esplicative.
Lo scontro intra-genere che avvenne in "King Kong vs. Godzilla" nel 1962 è più che debitore storico del "Godzilla vs. Kong" diretto da Adam Wingard. Nell’incontro-scontro di mostri, di suggestioni e di metafore proposti da Ishirō Honda si percepisce costantemente il registro ironico del divertimento, non fine a sé stesso ma profondamente sociologico senza per questo essere univocamente o l’uno o l’altro. Persino i personaggi della sceneggiatura di Shinichi Sekizawa sono il ridicolo specchio di una società umana che specula sul guardare, sul mettere in scena i rappresentanti di un duello terribilmente pericoloso per l’umanità.
Il "Godzilla vs. Kong" del 2021 non è remake di questa intelaiatura orientale, anzi guarda ad esso per distanziarsi, ascrivendo a sé un diverso concetto di mostrarsi poiché cosciente, come prodotto, che l’etimologia del monstrum (non si guardi al concetto di abnorme, ma alla prodigiosa apparizione oppure devianza, in base all’accezione che gli si vuol dare) non può più ricorrere all’ennesima riappropriazione dei significanti. Deve in qualche modo farli vibrare, ricorrendo a vecchi formulari con nuove espressioni.
Il film di Wingard sceglie di allontanare il passatismo reverente che il predecessore ha adottato, confrontandosi piuttosto con la grandezza visiva della massima rappresentazione digitale.
"Godzilla II", terza tappa del MonsterVerse, conscio di aver esaurito la spinta della rinnovata glorificazione del kaijū con i due precedenti (un Godzilla tanto impervio quanto indomabile è Kong), aveva capito che la strada da percorrere era quella della riappacificazione con l’ignoto, gettando addosso allo spettatore insensatezza di minutaggio e di partecipanti, ancora però indeciso e sul versante artistico (se ne parla nella recensione dedicata) e su quello tematico poiché conteso tra la riflessione scaduta (i cattivi ecologisti) e l’inebriante voyerismo svogliato.
"Godzilla vs Kong" riparte proprio dal soggetto di Dougherty, regista del precedente, e soprattutto di Terry Rossio ("Small Soldiers", trilogia dei "Pirati") che iniettano nella sceneggiatura di Pearson/Borenstein una serie di idee magniloquenti, scomposte, vetrina di fascinazione.
Si comincia da un incipit doppiamente ironico che introduce la natura del rapporto tra i due Titani: da una parte i versi d’amore di Bobby Vinton "Over the mountain/ Across the sea/ There’s a girl, she’s waiting for me" a parafrasare l’emozione dello spettatore verso il crossover, dall’altra la cupola contenitiva di Kong che palesa il Truman show ancora una volta spettatoriale (il "vediamo come si comporta se") ma allargato al film e non alla sola Isola del Teschio. In realtà, tutto il film è un grande show in cui la componente umana tira le fila, interviene nel meccanismo narrativo e lo altera profondamente poiché appunto del kaijū non è più vittima passiva. Si può dire che, a differenza di "Godzilla II", questo aspetto della narrazione faccia da variabile, rappresentata con un allegro fascino di un film d’avventura anni ‘80 (i bambini e il complottista sembrano usciti da un film di Joe Dante scritto male) e sia una variabile volutamente bizzarra, ridicola (il villain che muove le fila ed è vittima della sua creazione, cliché riuscito) quanto deus ex machina affinché lo spettacolo continui (un certo liquido alcolico).
"Godzilla vs Kong" passa dal micro al macro con astuzia, per quanto possa sembrare l’ennesima trama illogica da sbertucciare, ebbene che lo sia ma dandogli finalmente una collocazione del tutto rinunciataria.
Storia d’amore si diceva, appunto, o meglio: in una confezione erotica. Perché archiviate le premesse e i pretesti per vedere in azione i Titani, "Godzilla vs. Kong" diventa satura collisione tra le bestie colossali, sogno vivido che calca il pianeta e scoperchia le profondità. La chiave di volta è sicuramente la rappresentazione con cui gli autori decidono di inscenarla: una rissa da pub. Ebbene, questa "umanizzazione" si riflette non soltanto nelle coreografie ma soprattutto nella speculazione visiva e artistica.
Wingard spazia da campi lunghissimi a primi piani degni di star hollywoodiane, tanto che la mimica di Kong e ancor più importante, il sorrisetto di Godzilla, sono smorfie umane, vivide.
I "movimenti di macchina" passano da travelling a vorticosi gimbal-like e arc-shots (si pensi alla battaglia in mare, in cui si notano frammenti di "Jaws"), posizionandosi praticamente ovunque. La scelta è di forzare un certo caos visivo, pur riuscendo a condurre il focus del frame sugli eventi a schermo con chiarezza, preferendo la lunghezza degli scontri ai climax tronchi di "Godzilla II". Wingard e soci portano a casa un risultato a metà tra la pienezza larger than life di Peter Jackson e l’entomologica precisione di Guillermo Del Toro.
Sia Kong che Godzilla assumono una multiformità rappresentativa grazie, soprattutto, alla direzione artistica dei fondali: tra le morbide ombre dell’ora d’oro e i fasci di luce di una Hong Kong al neon, i mostri si muovono in una spazialità studiata per esaltare non tanto la fisicità quanto il dinamismo degli scontri. Difatti si accelera appositamente la velocità dei titani1, ai quali normalmente si riserva un lavoro di slow motion per accentuarne la grandezza, al fine di scongiurare qualsiasi verosimiglianza o anche autentica fisicità. La sensazione è una simulata stop-motion in CGI che spazza via il pensiero sulle persone coinvolte sotto ai piedi di Kong e Zilla, concentrandosi sulla loro natura di fiere battagliere inscenata in una maniera artistica, cinetica e fortemente iperbolica (apice assoluto, lo scambio di ruggiti tra l’epicentro della Terra Cava e Hong Kong).
Una gioia per gli occhi concretizzata dai vari team al lavoro sul titolo2 che ricorre al monster movie privo di controllo, di cui metaforicamente partecipa un Mecha-Godzilla che si ribella al suo pilota. Lecito chiedersi se adesso il "mostro" nella filmografia occidentale del genere sia anche questa reiterata visione del mondo dei balocchi. Che però si concede una lunga sequenza di sublimazione del valore del mostro quando Kong si lancia nella Terra Cava in una sorta di quest proppiana verso l’agente magico necessario alla conseguente risoluzione del conflitto.
Un crogiolo di azzeccate quanto confuse idee, la cui meticolosità tecnica permette ai due Re di incontrarsi, ancora una volta, rispettando il valore storico di ciascuno.
1 Fonte: Slashfilm.com
2 Scanline, MPC e Weta Digtial sono le principali aziende ad essersi spartite il lavoro sugli effetti digitali.
cast:
Alexander Skarsgård, Millie Bobby Brown, Rebecca Hall, Brian Tyree Henry, Eiza González, Shun Oguri, Kyle Chandler
regia:
Adam Wingard
distribuzione:
Warner Bros.
durata:
113'
produzione:
Legendary Pictures, Warner Bros.
sceneggiatura:
Eric Pearson, Max Borenstein
fotografia:
Ben Seresin
scenografie:
Tom Hammock, Owen Paterson
montaggio:
Josh Schaeffer
costumi:
Ann Foley
musiche:
Junkie XL