Dopo sessant'anni esatti dal film di Ishiro Honda, girato in piena Guerra Fredda e figlio degli incubi nucleari di quel tempo, il Mito di Godzilla ("Gojira" in originale, crasi di "gorilla" e "kujira", balena) risorge e si vendica della sbiadita e impersonale versione di Roland Emmerich del 1998.
Il film di Honda consegnò all'immaginario collettivo la visione del Mostro a spasso tra i modellini dei grattacieli di Tokyo, mentre l'iconico costume in latex progettato da Teizo Toshimitsu della Toho e indossato con grande prestanza dall'attore Haruo Nakajima divenne l'immagine pop per eccellenza del dinosauro.
È proprio da questo costume che il giovane regista inglese, Gareth Edwards, è partito per ricreare l'immagine di Godzilla così da non tradire l'originale. Il suo è stato un attento studio filologico finalizzato a trovare un compromesso tra la nuova tecnica digitale, supportata dal 3D, e gli antichi effetti speciali artigianali d'un tempo. Quelli del cinema dei grandi pionieri. Il risultato, lo diciamo fin da subito, è decisamente riuscito.
I titoli di testa partono da "L'origine della specie" di Charles Darwin fino ad arrivare agli esperimenti nucleari francesi negli atolli del Pacifico. Sarà didascalico, ma Edwards mette già sul piatto i temi portanti della storia: la forza della Natura che mette equilibrio nel pianeta e l'allegoria del pericolo atomico.
Nella struttura narrativa il regista ha poi un approccio speculare: da un lato rimane fedele al genere e dall'altro lato lo tradisce. Rimane fedele al genere, per esempio, nel prologo dove i due scienziati (Ken Watanabe e Sally Hawkins) visitano una miniera delle Filippine nel 1999 e scoprono i resti di un antico Godzilla. Questo rimanda a tanti classici del genere (il tradizionale incipit esotico che serve ad introdurre il mistero, di chiara ascendenza spielberghiana) . Un altro esempio di fedeltà è il racconto attraverso il tipico
flash back drammatico del protagonista Ford Brody (Aaron Taylor-Johnson) . L'altra faccia di questo approccio narrativo è, invece, il tradimento delle aspettative dello spettatore in favore di un punto di vista diverso: questa volta non "aspettiamo" l'arrivo del Mostro in città (come nel già citato film di Emmerich) ma lo seguiamo fino alla fine, nella sua lotta contro i due Muto, luciferini rivali (di vaga rassomiglianza all'Alien di Scott) anch'essi risvegliati e in giro per il mondo. Tutti i personaggi ruotano intorno all'epicentro della vicenda, arrivando insieme allo spettatore al celebre finale della lotta nel cuore della città (questa volta tocca a San Francisco). Viene quindi tradito il principio cardine de "Lo Squalo", qui le creature le vedremo fin da subito, eliminando l'attesa e piombando immediatamente nel terrore.
Basterebbe sottrarre le immagini delle creature per avere un perfetto
disaster movie. Edwards difatti agita le paranoie contemporanee, non si accontenta della minaccia nucleare (più attuale negli anni 50), e rimanda agli incubi che abbiamo vissuto direttamente o indirettamente in questi ultimi anni: da Fukushima allo Tsunami, dal terrorismo ai terremoti. E il discorso acquista un sapore più cinematografico con alcune, chiare, citazioni: "Gli Uccelli", "Incontri ravvicinati del terzo tipo", "Alien", "2001 Odissea nello spazio".
Il destino di Brody è poi quello di ereditare le responsabilità della generazione del padre, soprattutto le colpe come quelle che hanno portato al risveglio delle creature. Il passaggio di questi compiti lo si evince già nella prima parte con il destino dei due genitori (un incisivo Bryan Cranston e una fugace Juliette Binoche).
Rimane il dispiacere di vedere così poco caratterizzati proprio i personaggi della nuova generazione, le loro interpretazioni sono molto convenzionali, prive di alcuna invenzione e, soprattutto, non supportate da adeguati dialoghi da parte della sceneggiatura di Frank Darabont. Difatti il film perde un po' quota appena rimangono sulla scena Brody e la moglie Ellen (Elizabeth Olsen). Il motivo può essere dato anche dalla mancanza di personaggi di contorno incisivi e memorabili.
Arriverà l'ultima mezz'ora a segnare la differenza. Un finale plumbeo (che cita le atmosfere di Christian Nolan) avvolto in una tonalità di grigio di ciminiera con alcuni sprazzi vermigli dati dalle luci della città e dalle lanterne rosse che si stagliano nel cielo.
Una delle scene più belle è il volo dei soldati che si lanciano su San Francisco: la soggettiva di Brody che sfiora Godzilla è da brivido.
E proprio nel duello finale, dove la Natura, finalmente, ristabilirà l'equilibrio, ritroviamo l'impronta di Honda. Pur abbellito dai preziosi effetti digitali, Godzilla rimanda a quel costume in latex delle sue origini e i campi lunghi che lo riprendono, in mezzo ai grattacieli, ci consegnano quasi un calco delle atmosfere del suo precursore. Edwards fa risorgere uno dei tanti miti del cinema e lo fa credendo nel cinema stesso, nelle sue tecniche vecchie e nuove e, soprattutto, nelle emozioni delle immagini.
14/05/2014