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recensione di Federico Romagnoli

Kon Ichikawa è forse il regista per cui si avverte maggiormente la scollatura percettiva del cinema giapponese che sussiste fra la nazione stessa e l'Occidente. Mentre i suoi film più celebrati in Occidente sono "Burma no tategoto" ("L'arpa birmana", 1956), "Nobi" ("Fuochi nella pianura", 1959) e "Yukinojo henge" (titolo internazionale: "An Actor's Revenge", 1963), la critica giapponese sembra preferire altri titoli, fra i quali "Otouto" ("Il fratello minore", 1960), "Watashi wa nisai" (titolo internazionale: "Being Two Isn't Easy", 1962), "Matatabi" ("Gli errabondi", 1973), i vari film sul personaggio del detective Kosuke Kindaichi (1976-79) e "Sasame-yuki" ("Never sottile", 1983).

È curioso constatare come la conclusione sia la stessa, ossia riconoscere in Ichikawa un maestro del cinema, ma le motivazioni che la sorreggono siano piuttosto distanti fra loro (precisando che è stata esclusa dal discorso la sua attività di documentarista, per non complicare troppo il quadro). Tuttavia, mentre i film noti in Occidente sono solitamente apprezzati dai cinefili giapponesi, quelli celebrati in Giappone sono tendenzialmente sconosciuti all'infuori dei confini nazionali: una stortura a cui la nostra critica non sembra a tutt'oggi aver intenzione di rimediare. Questo articolo vuole rappresentare un tentativo al riguardo, con la consapevolezza che si tratta di una goccia nell'oceano.

"Matatabi" esce in un momento particolare per il regista, che dopo il 1964 ha avuto un lungo periodo in cui si è dedicato esclusivamente ai documentari, e tolto un film con protagonista Topo Gigio (personaggio da sempre molto popolare in Giappone), è tornato a dirigere un'opera di finzione con attori dal vivo soltanto nel 1971, con "Ai futatabi" (titolo internazionale: "To Love Again"), in concorso al Festival di Berlino di quell'anno. La pellicola non ottenne tuttavia particolari riscontri di pubblico, né di critica, portando Ichikawa e voler esplorare nuove soluzioni. Fu così che si avvicinò alla Nihon Art Theatre Guild, nota anche come Atg, una compagnia di distribuzione cinematografica voluta da alcuni dirigenti della Toho per promuovere film d'avanguardia e a basso costo. Grazie alla Atg, a partire dal 1966, videro la luce alcuni dei più importanti film giapponesi dell'epoca, con ampio spazio per registi del calibro di Shohei Imamura, Nagisa Oshima e Toshio Matsumoto. La politica aziendale della Atg era di distribuire il film e di fornire la metà del budget per la produzione, sulla quale garantiva assoluta libertà creativa, a patto che i curatori del progetto coprissero la restante metà dei costi.

Il budget di "Matatabi" venne stimato intorno ai 12 milioni di yen (poco più di 200mila euro attuali): la metà spettante a Ichikawa venne coperta grazie ai guadagni che il regista aveva ottenuto dirigendo quattro puntate della fortunatissima serie televisva "Kogarashi Monjiro" (1972, dieci anni dopo andata in onda anche in Italia, per Telemontecarlo, col titolo di "Monjiro, samurai solitario"). I costi lievitarono poi di altri 3 milioni di yen per via della carenza di materiale tecnico e per coprirli Ichikawa girò degli spot pubblicitari per la Kizakura, compagnia produttrice di sake.

Il film è un dramma storico in costume, filone noto come jidaigeki, e appartiene più specificamente alla corrente detta matatabi eiga (letteralmente: "film sui viandanti"). Fu scritto a quattro mani da Ichikawa e Shuntaro Tanikawa, uno dei più importanti letterati giapponesi del Ventesimo secolo (sceneggiatore, poeta, traduttore, autore di canzoni e scrittore di libri per bambini), così come del resto era accaduto per quasi tutto ciò che Ichikawa aveva realizzato dal documentario "Tokyo Olympic" ("Le olimpiadi di Tokyo", 1965) in poi. La storia è ambientata nel 1844, durante gli ultimi decenni dello shogunato, e narra uno spaccato della vita di tre toseinin.

Col termine toseinin ("渡世人" in kanji), verso il termine del periodo Edo, si intendeva uomini armati di spada, ma senza lavoro e senza fissa dimora, spesso esclusi dai registri di famiglia, che si spostavano di zona in zona cercando l'ospitalità di potenti locali in cambio dei loro servizi. La loro sopravvivenza orbitava intorno al gioco d'azzardo e ai crimini a esso correlati. In precedenza erano stati uomini di umili origini se provenienti dalle città o contadini se provenienti da zone rurali. Durante il periodo Meiji, a partire dal 1868, la figura del toseinin è gradualmente confluita nel mondo della yakuza, la criminalità organizzata giapponese, che andava assumendo proprio in quel momento la forme gerarchiche con cui sarebbe diventata nota. Per questo motivo "Matatabi" è talvolta percepito come un film sulla yakuza, nonostante sia ambientato in un periodo in cui questa ancora non esisteva (le prime embrionali unioni di gruppi criminali, in cui all'epoca i toseinin talvolta confluivano, si dividevano principalmente fra tekiya, i venditori ambulanti, e bokuto, gli scommettitori). Oggi come oggi "toseinin" è una parola andata parzialmente in disuso, ma la si può ancora incontrare in opere letterarie e drammi storici.

I protagonisti sono Genta, Shinta e Mokutaro, che durante il loro peregrinare si imbattono nel padre del primo, con cui il ragazzo non si vedeva da anni (l'uomo aveva lasciato la propria casa, non ritenendosi adatto alla vita di famiglia, per poi diventare l'esattore dei crediti di gioco di un signore locale; Genta se ne era andato poco dopo per cercarlo, finendo appunto col diventare un toseinin). Il padre risulta purtroppo immischiato in un complotto contro il signore, che chiede a Genta di ucciderlo. Il ragazzo esegue l'ordine, ma il signore anziché mostrare gratitudine lo caccia, in quanto chiunque uccida il proprio genitore è considerato un criminale dalla legge dello shogunato. I tre ragazzi scappano e portano con loro una giovane donna della zona innamorata di Genta, conosciuta durante il breve soggiorno.

Il finale è catastrofico (da qui in avanti si susseguono spoiler, necessari per poter spiegare il contenuto dell'opera): Shinta muore di tetano dopo essersi ferito cadendo lungo la strada, la ragazza viene venduta a un locale come prostituta (per evitare che venga trovata dalle autorità, avendo lei ucciso il cognato che era andato a cercarla) e Genta muore cadendo da un dirupo mentre insegue Mokutaro, l'unico che sopravvive (fra i due era nato un diverbio: Mokutaro avrebbe voluto uccidere il signore che li stava ospitando in quel momento per portare la testa a un suo rivale, mentre Genta era contrario all'azione, a suo avviso irrispettosa del codice d'onore dei toseinin).

Il codice d'onore che nell'immaginario comune viene abbinato alla yakuza è una semplificazione di quello in voga nel periodo dei toseinin, durante il quale comprendeva rituali talmente macchinosi da rappresentare una ghiotta occasione per Ichikawa, che li mette subito in ridicolo, dando una rappresentazione comico-grottesca di quei valori sin dalla prima scena.

Giunto presso la casa di un signore, il toseinin si fa ricevere dal sottoposto che ha il compito di accoglierlo e a quel punto entrambi recitano una pratica chiamata jingi: prima assumono una serie di posizioni innaturali con il corpo e con le mani, poi una volta inginocchiato il toseinin chiede ripetutamente di presentarsi e l'altro insiste per presentarsi prima di lui. Una volta stabilito che sarà il toseinin a presentarsi per primo, quest'ultimo elenca tutte le sue referenze, ossia i signori presso cui ha già prestato servizio, dopodiché l'altro lo ringrazia e passa a descrivere il proprio ruolo all'interno della casa del signore e invita l'ospite a sedersi. Il toseinin accetta l'invito e poi porge in dono all'altro un fazzoletto: il ricevente finge di volerlo rifiutare, poi lo accetta in quanto sarebbe scortese fare diversamente, infine dopo averlo accettato lo restituisce al toseinin senza dire niente e questi lo rimette all'interno del proprio abito, portando a termine il rituale. Questa scena assurda e zeppa di cavilli, eseguita palesemente controvoglia da ambo i partecipanti, si ripete sia per Shinta, sia per Genta, poi il servitore del signore, stremato, chiede a Mokutaro di saltare la sua parte e questi accetta ben volentieri.

In un'epoca in cui i film sulla yakuza andavano romanticizzando la figura dei malviventi e il loro codice d'onore, Ichikawa va in completa controtendenza con un'introduzione che ne mostra la formalità vuota e autoreferenziale: anche se la yakuza non era ancora nata nel 1844, il parallelo e le intenzioni del regista sono evidenti. Da lì in poi la trama non fa che mostrare coi fatti quanto non ci sia nessun reale contenuto dietro la facciata: Mokutaro è disposto a tradire il suo signore non appena l'occasione si mostra propizia, Genta si mostra contrario al tradimento, ma nei fatti quell'attaccamento cieco alla fedeltà lo porta a uccidere il suo stesso padre, il signore che ha commissionato l'assassinio a Genta subito dopo lo rinnega come criminale. L'intero marchingegno, che pretende di basarsi sulla fedeltà, in realtà ha come proprio motore il tradimento. C'è spazio anche per denunciare l'impossibilità di qualsivoglia romanticismo in un contesto del genere: la ragazza, anziché coronare il suo amore per Genta, finisce per venire venduta come prostituta, per poter sfuggire a coloro che la braccavano per essersi sostanzialmente difesa. Il messaggio è lampante: il sentiero del toseinin non può portare ad alcun tipo di felicità e danneggia anche chi gli sta intorno.

La messa alla berlina di Ichikawa non risparmia nessun aspetto, men che meno la forma: i combattimenti sono caotici e raffazzonati, i personaggi si scontrano in maniera animalesca, sbraitando e roteando le armi con furia cieca; delle coreografie e delle geometrie tipiche di Akira Kurosawa o Masaki Kobayashi non rimane traccia alcuna. L'anticlimax dell'ultima scena sublima tutto quanto detto finora: Genta inciampa sul proprio cappello e cade da un dirupo mentre insegue Mokutaro, il quale neanche se ne accorge e continua a scappare. Solo dopo un po' torna indietro e prova a chiamare l'altro, senza ottenere alcuna risposta. Una morte che fa apparire il personaggio come un completo idiota e che va ad aggiungersi a quella di Shinta, dovuta a una ferita che si era procurato mentre scherzava con gli amici, saltando lungo un sentiero. Un'esistenza fatta di nulla, nel segno dell'autodistruzione più futile e basata su valori contraddittori.

In ultimo, qualche cenno sulla realizzazione tecnica della pellicola, che trattandosi di Ichikawa è al solito eccellente, per quanto si tratti di un progetto a basso costo: il film venne girato in un villaggio semi-disabitato nella prefettura di Nagano, dove attori e tecnici pernottarono per l'intero tempo delle riprese (24 giorni in tutto). Le case e le baracche scelte ebbero bisogno di pochi ritocchi per risultare credibili (principalmente, la rimozione di cavi elettrici e la sostituzione di porte con i vetri in favore di quelle tradizionali con pannelli di carta).

Gli attori scelti per interpretare i tre toseinin furono Kenichi Hagiwara, Isao Bito e Ichirou Ogura (i primi due erano già stati noti come cantanti, ma data la difficoltà di mantenersi sulla cresta dell'onda a causa dei veloci cambiamenti stilistici che attraversarono il mercato musicale giapponese al termine degli anni Sessanta, spostarono poi il proprio focus sulla carriera di attori): nessuno di loro aveva ottenuto ruoli particolarmente importanti o celebrati fino a quel momento e accettarono la proposta immediatamente, intuendo quanto avrebbe potuto significare in ottica futura l'essere stati diretti da un regista tanto celebrato (Hagiwara in particolare volle partecipare anche a costo di entrare in conflitto con la propria agenzia, la Watanabe Production, che non approvava il progetto). Una scommessa che si può a oggi considerare vinta, visto che sono tutti e tre ancora in attività e hanno recitato in decine fra film e serie televisive.

Le musiche, utilizzate col contagocce, si basano perlopiù sul taishougoto (noto anche come arpa di Nagoya, ha un suono associabile agli strumenti a corda giapponesi più antichi, ma è in realtà stato inventato nel 1912 dal musicista Goro Morita) e su tamburi e flauti tradizionali. Non si hanno purtroppo notizie su chi sia lo Yukio Asami che le firma insieme allo stesso Ichikawa: il suo nome compare in appena tre dischi (uno è la colonna sonora di "Matatabi" e gli altri due compilation di musica strumentale).

"Matatabi" finì al numero 4 nella classifica annuale di Kinema Junpo nel 1973 (la stessa rivista lo piazzò al numero 36 dei migliori film giapponesi di sempre nel 2009) e ottenne un buon successo di pubblico, aprendo le strade alla rinascita commerciale del regista, che tornerà nella seconda metà degli anni Settanta a essere uno dei dominatori della scena locale. Per l'effetto rivitalizzante che ha avuto sul suo autore, per quello di trampolino di lancio per tre attori di peso, ma soprattutto per la sua originalità e iconoclastia, non c'è dubbio che "Matatabi" sia da annoverare fra le pietre miliari del cinema nipponico.


13/02/2025

Cast e credits

cast:
Isao Bito, Kenichi Hagiwara, Ichiro Ogura, Reiko Inoue


regia:
Kon Ichikawa


titolo originale:
Matatabi


durata:
96'


produzione:
Nihon Art Theatre Guild, Kon Pro


sceneggiatura:
Kon Ichikawa, Shuntaro Tanikawa


fotografia:
Setsuo Kobayashi


scenografie:
Yoshinobu Nishioka, Ryoichi Kamon


montaggio:
Hirano Saburobei, Chizuko Nagata


costumi:
Yoshio Ueno


musiche:
Kon Ichikawa, Yukio Asami


Trama

Genta, Shinta e Mokutaro sono tre toseinin, ossia tre viandanti armati di spada, che si spostano per il Giappone rurale del 1844, offrendo i loro servizi ai vari signori locali, spesso nel segno dell'illegalità