[Attenzione, seguono spoiler]
Interno giorno. Un avviso di convocazione per partecipare alla selezione di una giuria presso il tribunale locale. L'ombra di un uomo che passa veloce. Poi l'inquadratura di una giovane coppia, lei incinta. Un dialogo leggero e di parole affettuose tra i due, prima che lui scappi per andare all'appuntamento con il giudice.
Inizia in questo modo "Giurato numero 2", ultimissima fatica di Clint Eastwood che, a 93 anni, ancora dirige con mano ferma un film con protagonista Justin Kemp (Nicholas Hoult), giornalista in una rivista locale presso Savannah in Georgia, ex-alcolista, amorevole marito di una maestra elementare in dolce attesa della loro figlia. Justin partecipa alla selezione della giuria del processo per omicidio di Kendall da parte del suo fidanzato James, avvenuto un anno prima, in una notte piovosa su una strada buia, a poca distanza dal pub dove li avevano visti litigare. Durante l'esposizione del caso da parte del pubblico ministero Faith Killebrew (Toni Colette), Justin realizza che anche lui era presente in quel pub quella sera e il cervo che immaginava di aver colpito con la sua auto, in realtà è la giovane donna sbalzata oltre il parapetto del ponte nel greto del ruscello.
Come agiamo di fronte alla colpa di aver fatto del male? Qual è il comportamento giusto e quale sbagliato? E per chi? È più importante il benessere collettivo o quello individuale?
Queste sono le domande che si pone Justin – e, attraverso lui, Eastwood le pone allo spettatore. In effetti, a una prima lettura "Giurato numero 2" appare come una rappresentazione della giustizia alla ricerca non della verità, ma di una verità che possa trovare un colpevole che risponda perfettamente ai pregiudizi degli individui. Del resto, è esplicita la citazione di "La parola ai giurati" ("12 Angry Man", 1957) di Sidney Lumet, nella composizione della giuria, nei dialoghi, nelle psicologie dei suoi componenti.
Ma se nel film di Lumet si trattava in modo evidente di questo, della spiegazione di ciò che succede nella "scatola nera" della camera di consiglio della giuria, durante la discussione per la condanna o l'assoluzione di un imputato, nell'opera di Eastwood ben presto il meccanismo è smontato, e da claustrofobica lotta per la verità, si apre verso l'esterno di una comunità alla ricerca di sicurezza e di verità sempre faticosa da raggiungere.
In questo senso, "Giurato numero 2" è essenzialmente un film etico che cerca di domandarsi se sia giusto per un giovane padre, onesto e corretto, colpito da un lutto – l'anno precedente la moglie aveva perso il loro primo figlio – che in modo involontario e inconsapevole ha ucciso un altro essere umano, autodenunciarsi per salvare un innocente, però uomo violento e appartenente a una banda di razzisti e spacciatori di droga conosciuta in città. Cioè, come porsi di fronte al dilemma di cosa sia giusto se condannare un innocente/colpevole oppure un colpevole/innocente?
La dinamica narrativa ha poi un andamento interessante, con una sceneggiatura che combina un racconto circolare con innesti di flashback. Nella prima parte, Justin cerca in tutti i modi di far assolvere l'imputato, instillando continui dubbi negli altri giurati, continuando ad allungare il tempo della discussione, cercando di salvare anche se stesso. Ma quando uno dei giurati, l'ex-poliziotto Harold (J.K. Simmons) crede nell'innocenza di James e pensa che Kendall sia vittima di un pirata della strada, Justin capisce che potrebbero arrivare a lui. Allora prima fa in modo di escludere dalla giuria Harold, e poi, resosi conto che non può salvare James senza che lui finisca in prigione, si conforma con i colleghi al verdetto di condanna.
Questa dinamica, dove all'inizio Justin è tormentato dai sensi di colpa e, alla fine, diventa cinico per salvare se stesso e il benessere della sua famiglia, si contrappone all'evoluzione inversa della procuratrice Faith. In principio è spietata e vuole a tutti i costi avere una condanna senza troppi problemi – anche perché è in gioco la sua elezione. Ma poi iniziano a crescere i dubbi e scopre la colpevolezza di Justin. L'ultima inquadratura si ricollega con la prima: stessa situazione ideale tra marito e moglie con la loro neonata, bussano alla porta, Justin apre e si trova davanti Faith venuta ad arrestarlo.
Il ribaltamento delle posizioni è tutto giocato sia sulle interpretazioni di Hoult e Colette, svettanti sul cast, sia su piccoli dettagli – i primi piani degli sguardi, i particolari rivelatori delle denunce delle auto incidentate, i gesti nervosi dei personaggi – che Eastwood dissemina lungo "Giurato numero 2", lavorando sempre in sottrazione e sull'essenzialità della messa in scena com'è nel suo stile ormai consolidato dalla sua ricchissima filmografia. Il tutto supportato da un montaggio alternato e sintetico, in particolare durante la fase processuale, che riesce a mostrare il tempo presente e passato e gli spazi interni dell'aula con quelli esterni del delitto, rendendo dinamica la visione.
In questo senso, "Giurato numero 2" fa il paio con la rappresentazione di un Sud statunitense immerso in un'atmosfera umida, calda, emotivamente violenta già approfondita in "Mezzanotte nel giardino del bene e del male" (1997), ma soprattutto Eastwood riprende temi e stilemi di "Mystic River", in particolare lo sliding doors che il destino ci pone sempre davanti. Come Jimmy e Sean potevano essere seduti nell'auto dei pedofili che presero il loro amico Dave e che in seguito segna indelebilmente le vite di tutti e tre, così Justin quella sera poteva restare nel pub o non fermarsi e James invece di girare a sinistra sulla strada verso casa, poteva svoltare a destra e recuperare Kendall. Eastwood ci dice ancora come i grandi drammi sono determinati da piccole, banali e inconsapevoli decisioni che possono cambiare la vita dell'individuo, nel bene e nel male.
cast:
Nicholas Hoult, Toni Collette, J. K. Simmons, Chris Messina, Zoey Deutch
regia:
Clint Eastwood
titolo originale:
Juror #2
distribuzione:
Warner Bros
durata:
114'
produzione:
Warner Bros., Malpaso Productions, Dichotomy Films
sceneggiatura:
Jonathan Abrams
fotografia:
Yves Bélanger
scenografie:
Ronald R. Reiss
montaggio:
Joel Cox, David Cox
musiche:
Mark Mancina